giovedì 26 novembre 2009

Preti moderni 2.0


Il Vaticano, una delle più grandi operazioni commerciali del mondo, sta valutando una serie di opzioni legate al suo vasto patrimonio immobiliare fatto di conventi ed edifici sacri. Questi sorgono invariabilmente nei posti più panoramici, partendo dal presupposto che la comunicazione con il creatore sia più facile da una reggia realizzata su una collina a 700 metri sul livello del mare (e con splendida vista del medesimo) che da un casermone di cemento in pianura.

Non solo, il Vaticano possiede anche un inventario incredibilmente ricco di immobili lasciati in donazione da chi, al momento di congedarsi da questa terra, ha cercato di guadagnare una posizione di favore. Tra l’altro non sappiamo se dall’altra parte li abbiano poi messi in Business Class, né qualcuno ci può garantire che ci sia un’altra parte. Di sicuro c’è tuttavia che i loro beni terreni sono saldamente nelle mani dei preti.

Allo scopo di alienare parte di questo immenso patrimonio (ci sono i conventi ma non ci sono abbastanza preti o suore), sta per essere costituita un’agenzia immobiliare chiamata Papa RE, dove (almeno questa volta) RE sta per Real Estate.

Niente a che vedere quindi con Papa Pio IX, appunto il Papa Re di infame memoria, che fu sfrattato nel 1870 da 50.000 ufficiali giudiziari piemontesi entrati a Roma con le maniere forti in quel di Porta Pia. Fu un momento fulgido della nostra storia, che finì però 59 anni dopo con i Patti Lateranensi, quando l’Italia tirò giù le braghe davanti ai preti, posizione in cui si trova tuttora, evidentemente con gradimento di entrambi le parti.

Ma ora, nel Terzo Millennio, il Vaticano potrebbe decidere di convertire parte dei suoi immobili ad uso commerciale.

C’è l’ipotesi di trasformarli in esclusivi alberghi, sull’esempio spagnolo dei Paradores (in questo caso, si parlerebbe tuttavia di Papadores) o di farne immobili commerciali (è stata infatti ventilata l’ipotesi di creare catene di fast-food come VFC, Vatican Fried Chicken e MaDonnald).

Una società di consulenza americana ha prospettato la creazione di più parchi tematici, dopo il successo iniziale del Parco Dio, del quale abbiamo già accennato mesi fa. RatziWorld o Papaland sono alcuni dei nomi proposti, mentre una fonte vaticana ben informata ci segnala che il nome Papapark è stato definitivamente scartato per la ridicola allitterazione.

Il nome Pretilandia
, invece, che inizialmente era molto gradito al pontefice, è stato stroncato da un sondaggio di mercato. Il 92% dei genitori intervistati non si fidava di mandarci i bambini.

domenica 22 novembre 2009

Mondo cane

Da qualche giorno il nostro cane Sam ha perso l’appetito, il che è strano per lei (sì, è una lei: si chiama Sam per Samantha) visto che ha un anno e divorerebbe il cemento armato.

L’ho fatta correre, saltare, galoppare, l’ho portata a spasso per ore. Ho perso due chili di peso, ma il suo appetito non è ritornato. In compenso, il mio è raddoppiato e ho subito ripreso i due chili.

Non sapendo più che cosa fare, l’abbiamo portata dal veterinario. Tutto in ordine, ha detto il buon dottore, Sam gode di ottima salute. Si tratta probabilmente di un problema psicologico.

Bene, siamo stati dallo psicologo per cani, che in realtà si chiama comportamentalista.
Una persona cordialissima, ci ha dato la zampa appena siamo entrati.

Ha voluto una mezz’ora di tempo per intervistare Sam. Non credo che nel suo studio abbia il classico divano, ma piuttosto una semplice cuccia. Ho provato a sbirciare e ho visto in terra dei grandi fogli di carta con delle strane macchie. Avrà fatto a Sam il test di Rohrschach oppure era semplicemente un pannolone? Mah.

Dopo trenta minuti e 100 Euro abbiamo scoperto di che cosa si trattava. C’è una cosa che tormenta Sam, un dubbio che la assilla e la consuma: perché Pluto cammina a quattro zampe e invece Pippo, che anche lui è un cane, cammina a due zampe e porta abiti umani?

Ho chiesto allo psicologo per cani se, in virtù dei 100 Euro, avesse anche fornito a Sam la risposta. (Tra l’altro anche a me interessa saperlo, sebbene non al punto di perdere l’appetito).

Ma il comportamentalista mi ha detto che il suo incarico si è esaurito nell’individuare il problema psicologico e che altro non gli è richiesto di fare. “Se vuole sapere la risposta – ha ringhiato – faccia una ricerca su Google”.

Eccomi qua, alleggerito di 100 Euro e con un dubbio esistenziale in più. In compenso, Sam ha ripreso a mangiare di gusto. Evidentemente ha deciso di accettare il fatto che Pippo e Pluto siano due cani molto diversi dal punto di vista comportamentale.

Questa mattina però l’ho sorpresa mentre si esercitava a camminare sulle zampe posteriori.

venerdì 20 novembre 2009

Quando i cinghiali parlano


Ricordate Salman Rushdie?
Probabilmente, oggi si chiama Selma, è una bionda alta 180cm, porta la quinta misura e vive a Helsinki.
La sua colpa? Nel 1988 scrisse I Versi Satanici, un libro di fantasia che alludeva a Maometto e che, a sorpresa, scatenò una sollevazione del mondo islamico.
L’Ayatollah Khomeini lanciò una fatwa nei suoi confronti, ossia una condanna a morte, in virtù della quale Rushdie vive nascosto in una località non nota da oltre venti anni.

Nel frattempo, il traduttore giapponese del libro è stato ucciso, mentre il traduttore italiano e l’editore norvegese sono stati feriti da ignoti sicari.

Vi dice niente il nome Jyllands-Posten? È quel giornale danese che nel 2005 pubblicò delle caricature di Maometto, suscitando un’altra esplosione di protesta da parte degli islamici.
Il risultato: richiamo degli ambasciatori in Danimarca da parte di diversi paesi islamici, manifestazioni di piazza, assalti alle ambasciate danesi, diversi morti in tutto il mondo.

Avete saputo della noiosissima conferenza tenuta dall’eterno colonnello Muammar al-Qadhafi (per gli amici Gheddafi) a Roma qualche giorno fa?  Si è fatto portare 150 escort (altezza minima 170cm) e gli ha parlato a lungo di religione (la sua, ma non solo).
Chissà se le giovani ospiti non avrebbero più volentieri fatto una sveltina per i 75 Euro percepiti invece di doversi sciroppare le interminabili sbrodolate moralistiche del Leader Fraterno.

Ma il bello è che, nel corso della sua conferenza, il colonnello ha raccontato una sua versione della crocifissione e morte di Gesù Cristo. Le reazioni critiche sono state poche e piuttosto pacate.

Immaginate se un capo di stato occidentale avesse fatto altrettanto parlando della morte di Maometto.

Il mio sdegno non nasce da profondi sentimenti religiosi (detto molto chiaramente: non sono credente), ma quello che non tollero è questa politica dei “due pesi e due misure” ogni volta che entra in gioco la questione islamica.

Sbrighiamoci a trovare energie alternative, perché è veramente pesante sopportare questi cinghiali farciti di petrodollari.

mercoledì 18 novembre 2009

Non c'è santi che tengano


Valentino aiutaci tu, titola in prima pagina L'Unità di oggi.

Si tratta di un appello dei 67 lavoratori della Yamaha Motor Italia licenziati con decorrenza Gennaio 2010, ma si tratta al tempo stesso di uno squallido episodio di giornalismo-trash.

L'appello è vuoto e ingenuo, mentre la notizia è stata sfruttata in modo cinico e vergognoso per piazzare una foto gigante di Rossi in prima pagina. Chissà, magari un paio di copie in più riescono a venderle.

Valentino è un cavallo da corsa e, se i cavalli parlassero, la sua voce conterebbe come quella degli equini che corrono all'ippodromo. Valentino ha un suo valore e un suo prezzo di mercato perché vince le gare e fa immagine. Da parte sua, il rapporto con la Yamaha è negoziale: mi dai quello che ti chiedo, ti firmo il contratto e corro per te l'anno prossimo.

Intercedere per gli operai e impiegati di Gerno di Lesmo non è nel ruolo di Valentino e non è nemmeno nel suo interesse, a meno che il nostro eroe non accetti una decurtazione del suo ingaggio per pagare gli stipendi dei dipendenti di Yamaha Italia per un altro anno.

Valentino non è San Gennaro ed è grottesco pensare che l'appello a lui rivolto serva a qualcosa.

Oggi la Fiat decide la chiusura definitiva dell'Alfa di Arese. Che faranno i licenziati, a chi chiederanno di intervenire? Sempre a Valentino? Dopotutto la moto N.46 ha scritto Fiat sulla carena.
O andranno a bussare da Raikkonen?

I posti di lavoro non si tutelano incatenandosi ai cancelli e invocando improbabili salvatori.
La responsabilità di tutelare la propria attività lavorativa è del singolo individuo. E quando non c'è più niente da fare e il lavoro salta, bisogna cercarsene un altro e farsi venire qualche idea. Non c'è santi che tengano.

E non chiedetemi come faccio a saperlo.

lunedì 16 novembre 2009

Otto semplici regole


La mia patente ha compiuto 40 anni e ha viaggiato nelle mie tasche per oltre un milione di chilometri. L'unico continente nel quale non l'ho mai usata è l'America del Sud (se vogliamo escludere Artide e Antartide).

Quando è tanto tempo che giri, è difficile che non ti sia imposto qualche regola (conscia o inconscia che sia).

Se vado in auto, la mia regola è arrivare a destinazione il prima possibile.

Se vado in moto, la faccenda diventa un po' più articolata. Ma si sa, quando qualcosa ti appassiona, tutto si complica...

Queste sono le mie regole, l'ordine non importa un gran che.

  1. Non sono in gara con nessuno. C’è gente che supero e altra gente che supera me.
  2. Ci sono giornate in cui mi va di andare forte e mi piace competere. Altre volte mi basta solo andare e non per questo mi diverto di meno.
  3. Non mi lascio imporre un passo che non è il mio. Gli amici più veloci mi aspetteranno al primo bivio. A mia volta aspetterò al primo bivio quelli più lenti.
  4. Piuttosto che mettere a rischio la vita di un amico con un sorpasso azzardato aspetto volentieri un’occasione migliore.
  5. Evito di uscire con chi sa andare in moto molto meglio o molto peggio di me. Chi è molto più bravo, con me si annoia, chi invece è molto meno bravo finirà per mandarmi in terra.
  6. Ogni volta che rischio e non mi succede niente, mi sono bruciato un credito. Il problema è che non so mai quanti me ne restano.
  7. Vado in moto per indossare abiti scomodi e arrivare stanco. Se volevo un comodo mezzo di trasporto, mi compravo lo scooter.
  8. La gente si divide in due categorie: chi va in moto e chi no.

mercoledì 11 novembre 2009

Come spiegare la passione?


Tempi duri per le due ruote, ma solo per le moto.
Gli scooter vanno fortissimo e segnano cifre in crescita.
Già da tempo, dei 20 motoveicoli più venduti in Italia, 17 sono scooter. Le moto “vere” sono invece in calo.

Reduce da un giro al 67° Salone internazionale del Motociclo di Milano, sono rimasto colpito dalla quantità di scooter presenti, dai trabiccoli terzomondisti a basso costo fino ai mezzi di media ed alta gamma (Europei e non), ma specialmente dall’enorme indotto che accompagna questo segmento in crescita.

C’è veramente di tutto e si possono spendere cifre da capogiro per attrezzare lo scooter e renderlo più sicuro e performante, per portarlo in definitiva ad essere il più vicino possibile a una moto, ma senza quel serbatoio fra le gambe che, evidentemente, rappresenta un ostacolo psicologico insormontabile.

Alla fine, chi va a lavorare in scooter può mettersi le scarpe normali e appoggiare i piedi sul pianale a ginocchia unite. Ma è veramente tutto qua?

Certo, se piove la copertina impermeabile ti protegge, mentre in moto serve l’antipioggia. Ma io ancora non riesco a capire perché si vendano tanti scooter e così poche moto.

Mi cade l’occhio su uno scooter tra i più gettonati e non provo niente. Anzi, meno di niente. Lo vedo come un guscio di plastica spinto da un motore, anonimo e ben nascosto, che ti porta da A a B.

Ma quando visito lo stand di un produttore di moto, la bellezza di certi dettagli e soluzioni tecniche mi tiene inchiodato a guardarli per minuti: le linee della carenatura, la livrea, il telaio, il motore, quelle parti in alluminio lavorate che sono vere opere d’arte.



E facendo due passi indietro provo il piacere di vedere il tutto integrarsi armoniosamente e creare un oggetto dal fascino incredibile: una motocicletta.

È difficile spiegare una passione, specialmente a chi non la condivide.

domenica 8 novembre 2009

Big Frank cambia moto

Big Frank si chiama così per un buon motivo.
È un uomo che sta per salutare la cinquantina, con un fisico da lottatore e una pancia di proporzioni ragguardevoli. Una stretta di mano di Frank è come infilare le dita tra due rulli. Eppure quando si lancia in una serpentina di curve con la sua FZ-1 sembra un ragazzo sulla sua prima motoretta da sparo.

Questo da lontano.

Da vicino, per dirla come gli Americani, sembra un gorilla che fa sesso con un pallone da football.

Frank ha un cognome di origine polacca pieno di consonanti e quindi, per distinguerlo dagli altri due Frank del gruppo di amici con cui gira, si è deciso di chiamarlo Big Frank, mentre gli altri due sono ovviamente Medium e Small.

Frank ha fatto la sua carriera nell’US Army ed è andato in pensione come sottufficiale. Se incontra qualcuno che faceva l’ufficiale è meglio intervenire per separarli perché, adesso che è un civile, Big Frank si toglie i sassolini dalla scarpa senza mezzi termini.

La sua passione sono le moto. Nel garage della sua villetta sul Buffalo Lake in North Carolina, Frank ha una piccola collezione: una Honda ST1100, una Yamaha FZ-1, una Buell Ulysses e una FJR1300 del 2005.
Adesso però ha venduto le ultime due e si è comprato una FJR1300 modello 2008, colore nero, e, se lo conosco, le avrà già limato le pedane sulle curve delle “back roads” dalle parti sue. La moto è praticamente nuova e Frank ha davanti a sé un intero inverno per metterla a punto come vuole lui: motore, sospensioni e accessori vari.

Già me lo vedo con la cassetta dei ferri aperta, un mug di caffè che fuma sul bancone e le lenti bifocali inforcate mentre prova a infilare le manine XXL negli spazi della carenatura.

Nel suo garage c’è anche tutta l’attrezzatura per cambiare le gomme e non manca mai un paio di treni di scorta sullo scaffale. Chi si trovi a passare dalle sue parti e abbia un problema di pneumatici, basta che lo chiami sul cellulare. Frank ha tempo a disposizione, è un meccanico esperto e non chiede di meglio di essere richiamato in azione.

Arriva con il suo rimorchio, ti carica la moto e due ore dopo sei di nuovo in strada. Nel frattempo hai bevuto un caffè con lui (o una birra a seconda dell’ora) e ti ha raccontato di sicuro che cosa pensa degli ufficiali.

Big Frank è quel tipo di motociclista che ti fa essere orgoglioso di appartenere alla categoria.

sabato 7 novembre 2009

Ci risiamo


Una delle mie passeggiate preferite trainato dai miei due cani (sembriamo una strana biga dove io faccio Ben Hur e loro i cavalli) è lungo una specie di terrapieno alto diversi metri che separa una nuova zona residenziale da una bretella della Tangenziale Ovest di Milano.

È una muraglia erbosa sul cui lato interno alcuni giovani alberi sono stati piantati lo scorso anno e promettono bene per il futuro. Già me li immagino d’autunno mentre le foglie cambiano colore e il vento…ma qui sto uscendo fuori tema.

Dal terrapieno si gode una vista privilegiata della bretella e spesso si sente il rumore di qualche moto lanciata a velocità mentre passa dalla quarta alla quinta in piena accelerazione. Se ne vedono, ovviamente, di tutti i tipi, dalle supersportive che urlano a 10.000+ giri alle turistiche, eleganti e silenziose mentre sfilano via con un sibilo da turbina.

Ogni tanto il rumore inconfondibile di un V-twin (magari con gli scarichi più aperti) mi fa voltare.

Vista da quasi dieci metri d’altezza, la moto custom ti suggerisce il contatto diretto con l’aria e con la strada che percorre, la postura del pilota è rilassata e il brontolio del motore è quasi una droga, con i suoi colpi di tosse e le sue vibrazioni quasi palpabili a distanza.

Molto spesso la moto è scura, con le sue cromature che scintillano al sole e il pilota, le braccia appoggiate sul manubrio a corna di bue e le gambe distese in avanti sulle pedane, è l’istantanea del gusto di andare in moto. Una specie di icona del rapporto tra uomo e mezzo meccanico, dove quest'ultimo è il tramite per soddisfare la sete di strada, di movimento e di nuovi orizzonti.

Ci risiamo. Mi riprende la voglia di custom.

mercoledì 4 novembre 2009

Patente e libretto

La Ford Crown Victoria grigia metallizzata del North Carolina State Trooper viaggia verso Est sulla US74, la Great Smoky Mountains Expressway, in direzione di Asheville. Al volante il Trooper T.B. Sutton, del Troop G, District VI di Bryson City, che sta rientrando verso la sede del suo distretto alle 07:55 di una luminosa domenica mattina di Agosto.

In quel punto, la US74 attraversa la Nantahala National Forest presso il Fontana Lake, una zona prediletta dai turisti e specialmente dai motociclisti, visto che a circa trenta minuti di strada sulla NC28 si trova la celebre Coda del Drago, una delle strade mito negli Stati Uniti.

E proprio all’incrocio con la NC28, regolato da uno stop per chi proviene da questa strada, Sutton vede due moto immettersi veloci nella US74 e procedere verso Est senza arrestarsi al segnale. Avvicinandosi alle due moto, ne identifica subito la seconda come una Harley Davidson Street Glide e la prima come una moto giapponese, probabilmente una Yamaha FJR1300. Arrivato a circa 100 metri in coda alle due moto, Sutton attacca i lampeggiatori e dà due colpetti di sirena elettronica: woop, woop.

***

Il mio amico Jim ed io siamo partiti poco dopo le 07:00 dal Fontana Village e abbiamo imboccato la NC28. Il sole è ancora basso ma il cielo è limpidissimo e si preannuncia una splendida giornata estiva nelle montagne del North Carolina.
Siamo diretti ad Asheville a poco più di due ore di distanza, dove ci aspettano altri amici per fare un bel giro sulla Blue Ridge Parkway. L’aria è ancora fredda e i prati sono coperti di rugiada. In qualche stretta vallata delle Smoky Mountains ristagna ancora una coltre di nebbia. Quando il sole riesce a filtrare tra i rami degli abeti, il suo calore si fa immediatamente sentire. Abbiamo indosso degli indumenti da moto traforati, perché non è escluso che oggi in pianura si supereranno i 35°, ma ora ci sono al massimo 10°.

Jim fa strada con la sua FJR1300, io lo seguo con la Harley, che a 90-100 km di velocità borbotta con un suono piacevolmente profondo. Arriviamo all’incrocio della NC28 con la US74 viaggiando circa 15km sopra il limite, ma la strada è deserta e anche la US74 si presenta come un nastro grigio immobile nella luce del primo mattino.
Non c’è nessuno in giro.

Rallentiamo allo stop ma non ci fermiamo (gli Americani definiscono questa manovra “stop californiano”) e svoltiamo a sinistra. Abbiamo appena il tempo di aprire il gas e percorrere 500 metri sulla US74 quando i miei specchietti si riempiono di luci lampeggianti e sento la sirena. Guardo avanti: anche Jim si è accorto della macchina del Trooper apparsa dal nulla e sta accostando a destra.

Ci fermiamo e scendiamo dalle moto levandoci i caschi. Il Trooper è ancora seduto nell’auto e sta verificando al computer le nostre targhe.

Una moto è intestata a Jim e l’altra alla Ray Price Harley Davidson di Raleigh che me l’ha noleggiata. Tutto in regola. Il Trooper esce dall’auto e con un gesto fluido ed esperto si calca in testa il cappello grigio scuro a falda piatta.

“Signori, siete in eccesso di velocità e non avete rispettato lo stop. Posso avere patenti e libretti di circolazione?”
Jim gli dice di non essersi accorto di aver superato i limiti e ammette che, complice la strada deserta, la manovra allo stop è stata meno che regolamentare. We’re sorry.

Con i nostri documenti in mano, il Trooper torna alla macchina e passano almeno 15 minuti mentre controlla i documenti e scrive.
Jim mi invita a non dare segni di impazienza perché la cosa non ci porterebbe alcun vantaggio.

Finalmente, l’agente esce dall’auto, ci restituisce i documenti e ci mette in mano un foglietto con il quale siamo formalmente ammoniti. “Signori, per questa volta ve la cavate con un warning. Vi invito a rispettare le regole e i limiti di velocità. Y’all ride safe now.”


La Ford
riparte mentre Jim ed io ci rimettiamo i caschi. Jim ride e mi dice: “Oggi è il nostro giorno fortunato. Ci siamo risparmiati due multe da $250 a testa. Adesso ci possiamo sputtanare un po’ di soldi che rischiavamo di non avere più.”

PS: il nostro incontro con lo State Trooper è avvenuto il 9/8/2006 e il resto della giornata è andato perfettamente. Siamo ritornati al Fontana Village dopo 14 ore dalla partenza e le mogli ci hanno letteralmente ribaltati per non averle avvertite del ritardo.

martedì 3 novembre 2009

Tanta fuffa, poca moto


Leggo una frase sul solito Motoblog.it (lo so, mi piace farmi del male!) ma mi fermo più volte perché sono confuso. Provate a leggerla anche voi:

Triumph e TAG Heuer (…) presentano l’ultima novità al pubbico di appassionati motociclisti: la Bonneville versione “Heuer”.
La TAG Heuer Bonneville presenta una livrea esclusiva blu/arancione ispirata alla Porsche guidata dal mitico Steve McQueen nel film Le Mans, che a sua volta ha ispirato la grafica del modello Monaco 40° anniversario.

Ma fatemi capire: mi compro una moto con il suo bel logo (Triumph), che a sua volta riporta in evidenza un altro logo (TAG-Heuer) e ha i colori di un modello che si ispira alla Porsche (altro logo) guidata da Steve McQueen (un’icona del cinema e delle corse) in un film chiamato LeMans.

Con questa confusionaria ammucchiata di loghi, icone e simboli c’è veramente il rischio che il novello acquirente della Bonneville entri nel pallone e si domandi: “ma io che c@22o mi sono comprato?”

Personalmente, quando compro le moto lo faccio per andarci in giro e la sola cosa che mi importa (almeno per la prima mezz’ora) è il colore.

Le versioni “20° Anniversario”, “Special Edition” o “Wimbledon” non mi sono mai interessate, sono strati di fuffa che alla moto non aggiungono niente.

Quanto agli accoppiamenti di brand (tanto amati dai visionari del marketing), non li considero altro che perversioni genetiche, come un cammello che monta un delfino. Ancora mi vengono i conati di vomito ogni volta che vedo la Yamaha di Valentino sponsorizzata Fiat.

Chi compra una moto conciata come la povera Bonneville cerca un’overdose di immagine e si compiace nel raccontare (rigorosamente davanti al bar) la storia di quella livrea mentre spunta l’elenco dei brand sulle dita della mano.

“Allora cioè, mò tte spiego, questa è la Traiumf Bonnevil ™, nella colorazzione Monaco 40° Anniversario ™ del Tagghe-Oier ® che è un orologgio che a sua vorta si ispira alla Porscc ® guidata dallo Stìv Meqquìnne © ner filme Lemans ®, cioè ma tte rendi conto che moto che cciò?”

Non c’è dubbio che tutto questo con l’andare in moto non abbia niente a che vedere.