giovedì 31 dicembre 2009

Anno nuovo, dita nuove


Si, grazie, lo so: il detto popolare parla di “vita nuova”. Ma voi credete veramente di poter cambiare vita solo perché sul calendario ora c'è scritto 2010? (Tanto per cominciare, dovete anche abituarvi a scrivere la nuova cifra, e non più 2009 come le vostre mani fanno ormai in automatico).
Io non credo di farcela a cambiare. Un autentico cambiamento è difficile e a volte non ne vale nemmeno la pena.

Sentite a me, fatevi piuttosto una manicure: dita nuove, appunto. Costa poco e, se da una parte rimarrete i soliti animali di sempre, dall’altra avrete almeno delle mani presentabili.
Come alternativa, vi posso proporre “viti nuove”. Con una modica spesa potrete cambiare tutte le viti della vostra moto e, chissà, anche dell’auto se ci avete preso gusto.


Per chi proprio non riesce a iniziare il nuovo anno senza qualche proponimento o obiettivo, mi permetto di suggerirne qualcuno: 
  •  Fatevi restituire dal 2010 quello che il 2009 vi ha portato via. Soldi, entusiasmo, lavoro. Scegliete voi.
  •  Non vi incatenate al cancello della vostra ditta se questa dovesse chiudere. Serve solo a finire sul TG3 (sempre che non ci siano altri incatenati più eccellenti di voi). Trovatevi o inventatevi un altro lavoro.
  •  Non andate in città con la moto. Ormai è chiaro: si rischia la pelle. Usate la moto solo su strade aperte, meglio se fuori Italia. Per andare in centro, prendete i mezzi pubblici. Contrariamente a quanto molti pensano, non è necessario essere extracomunitari per poterlo fare.
  •  Non credete alla TV. Attori e giornalisti sono pagati per dire le cose che altri gli scrivono. La differenza tra i due è che, di solito, chi scrive i copioni degli attori è più intelligente. (Ci sono alcune eccezioni, come Natale a Beverly Hills, per esempio.)
  • Aprite un Blog. Scrivete quello che vi viene in mente e non fate caso alla punteggiatura. Non importa se mettete giù un mare di cazzate. Non siete i soli e almeno nessuno vi paga per farlo. (Vedi punto precedente sotto Giornalisti).   
  • Spendete i due soldi che vi restano. Così facendo aiutate l’economia, vi regalate delle splendide cose inutili e non li date alle banche. Tanto il mondo finirà tra due anni e gli interessi di 24 mesi fanno ridere
  • Dite quello che vi passa per la testa. Avete un anno di più ed è ora di cominciare a usarla. Basta con i luoghi comuni, il buonismo e la farina dei sacchi altrui. Se non foste in grado di pensare in maniera autonoma, non stareste leggendo questa mia lucida prosa.
  • Ricordatevi che la vita è troppo breve per dire no a un giro in moto.
  •  Non vendete la moto. Quella che avete va benissimo per voi. Ogni anno le moto diventano più sfiatate e più complicate. Se volete un gioiello dell’elettronica, regalatevi un iPhone.
  • Visto che ci siete, fatevi anche un pedicure. Così in spiaggia non dovrete più vergognarvi delle vostre dita e potrete smettere di tenerle arricciate nella sabbia.  
Coraggio, domani avremo un anno di più. Invecchiare è una cosa tremenda, ma l’alternativa è molto peggiore.

mercoledì 30 dicembre 2009

Ultimi preparativi

Tra una settimana si parte per la Tunisia e, come da tradizione, è questo il momento di preparare le liste di controllo per vedere se nel bagaglio manchi qualcosa.

In primis, occorre una Carta Verde che contenga la sigla TN e che quindi copra la Tunisia. Seguono naturalmente la patente di guida, il passaporto e il libretto di circolazione della moto con 10 Euro dentro (capisc’ammè..).
Avremo un compressore per i pneumatici, un paio di kit riparagomme e un solo completo di chiavi inglesi. Inutile che tre persone portino le stesse cose.
Per non litigare, però, abbiamo tre carte stradali del Paese e una quantità di depliant forniti dall’Ente del Turismo tunisino che serviranno per compilare una lista di posti da vedere a ogni costo.
Il posto d’onore nella mia borsa da serbatoio appartiene alla fedele Canon EOS 5D con un paio di obiettivi tuttofare. Sarei tentato di portarmi appresso due corpi macchina e otto obiettivi, ma finirei  per sovraccaricarmi inutilmente. Non ha senso riempirmi di "vetri" particolari, che magari userò per una o due foto (se va bene) in tutto il viaggio.


In un angolo della borsa da serbatoio mi accompagnerà questo cimelio. E’ un dizionario Italiano-Arabo che ha quasi un secolo e non vede il Nord Africa da 70 anni. Lo usarono i miei genitori durante la loro permanenza in Libia alla fine degli anni ’30 e non è più ritornato da quelle parti dal 1940 a oggi.
L’oggetto ha un valore più che altro simbolico. Tanto per cominciare è a senso unico, cioè non prevede la traduzione dall’Arabo in Italiano (e se anche lo facesse, io non so leggere l’Arabo). Inoltre la Tunisia è notoriamente un Paese a vocazione turistica e per farsi capire basta il Francese (ma spesso funziona anche l’Italiano).
Insomma, l’opera del Sig. R. Di Tucci edita dalla Sonzogno di Milano attorno al 1910 (che a suo tempo costò 2 lire) mi accompagnerà come talismano e poco altro. Mi è bastato dare una rapida occhiata alla parte intitolata Elementi di grammatica per capire che con la lingua araba ho ben poca affinità.
Comunque Vino si dice sherab. Manca, ahimè, del tutto la parola Birra. Di Tucci, ma che cosa mi combini?
Mi consola sapere che in Tunisia c’è una buona birra locale chiamata Celtia, ma a me basta non dover bere Heineken.

lunedì 28 dicembre 2009

Solo dei normalissimi pazzi

Le Olimpiadi invernali fai-da-te, iniziate con il lancio del duomo al Berlusca e proseguite con il placcaggio del papa sul campo da rugby di S. Pietro, sono state viste con grave preoccupazione dai nostri soloni dell’informazione.
Dal cassetto dei luoghi comuni hanno tirato fuori espressioni come “la spirale della violenza”, “inquietante escalation” e altre frasi di comodo che, insieme al “copia e incolla”, sono i pilastri su cui si fonda la professione del giornalista. Il tono serioso e corrucciato ha contagiato anche i loro colleghi sfigati che scribacchiano su Metro, City, Leggo e gli altri tabloid usa-e-getta da sfogliare appunto tra le fermate metro di Cadorna e Sesto FS (o per i Romani tra Ottaviano e Colli Albani) e da buttare via schifati prima di emergere in superficie. E così, mentre i giornali quelli veri tuonavano contro i “toni troppo accesi”, nel loro piccolo i giornalini emettevano timide flatulenze sulla stessa vena.

Ma a mio avviso si tratta di allarmismo ingiustificato. Se una rondine non fa primavera, due malati di mente non fanno odio di classe o religioso.
Altra cosa sarebbe stata se il modellino con le guglie l’avesse scagliato Franceschini (nascondendo poi la mano) o se a fare strike col papa e il cardinale Vattelappesca fosse stato un Imam d’alto bordo. (Oggi l’esponente islamico più gettonato è Khamenei dell’Iran, ma si sa che i gusti della folla in materia di imam sono molto volubili.)
Non dimentichiamo poi che i responsabili dei due folli gesti atletici sono...sì avete indovinato...nient’altro che dei folli. E per definizione il folle è imprevedibile (oltre che, come i fatti hanno dimostrato, di una precisone chirurgica). Perché quindi attribuire a degli squilibrati un disegno criminale o l’appartenenza a una congiura cosmica?
Il folle si fissa su qualcuno e, studiatene le mosse, colpisce all’improvviso. La sua vittima è di solito un personaggio pubblico. Che gusto ci sarebbe a sparare alla Sig.ra Cesira dell’interno 23 o a pugnalare un tranviere?


Se non vi ho convinto, chiedete a John Lennon. Il suo omicida, Mark Chapman, era solo un folle isolato, come anche Sirhan B. Sirhan, che sparò a Bob Kennedy. Niente congiura globale, solo dei normalissimi squilibrati.
Non credo nemmeno al “clima teso” o alle altre teorie che nel periodo natalizio si sono alternate con la cifra spesa dagli Italiani al supermercato o al solito stanco sondaggio sul menu di Capodanno.

John Hinckley, il pazzo che sparò a Ronald Reagan quasi trent’anni fa non lo fece perché aveva tifato per Carter alle elezioni del 1980.
Lui voleva solo fare colpo sulla giovane attrice Jodie Foster.

Paura di essere uccisi da un folle? Tranquilli: il segreto è non diventare famosi e non attraversare mai sulle strisce pedonali.

domenica 27 dicembre 2009

Tunisia 2010


E’ ufficiale!
Si parte per la Tunisia il 6 Gennaio.
Inutile aggiungere che le moto scalpitano dopo un mese di inattività e anche noi non vediamo l’ora di mettere il pollice destro sul pulsante Start. Siamo in tre e siamo ben affiatati, avendo nel corso degli anni macinato migliaia di chilometri insieme.
Un programma dettagliato non c’è e non ci sarà. A parte l’albergo per la prima notte in Tunisia, non intendiamo fare altre
prenotazioni. Data la stagione, andremo dove il meteo ci impone di puntare la ruota anteriore.

Possiamo fare un giro in senso orario discendendo lungo la costa orientale e poi risalendo il confine con l’Algeria, ma sul posto potremmo anche decidere di percorrere l'itinerario in senso contrario.
Destinazioni d’obbligo: Dougga, El Djem, Ksar Ghilane, Tataouine, Djerba e altre ancora.

A Dougga non voglio rinunciare. E’ stato uno degli ultimi posti che ho visto insieme a mio fratello Roberto prima della sua prematura scomparsa 14 anni fa e ancora ricordo le risate che ci siamo fatti. Lui aveva avuto un brutto incidente in Antartide (dove lavorava tre mesi all’anno) ed era stato costretto a camminare con una stampella durante la lunga convalescenza post-operatoria, vedi foto di Roberto con sua moglie Sofia durante quel viaggio. Muoversi tra gli scavi di Dougga era per lui un gioco di pazienza e di equilibrio.

Ma visto che nella zona archeologica erano ancora in corso i lavori, presi in prestito una carriola dal cantiere e iniziai a scorrazzarlo in giro lungo i sentieri che correvano tra le rovine. Fu veramente un gran viaggio e fa parte dei miei ricordi più belli.




Non ho dimenticato anche la cucina locale, anzi quel viaggio mi servì per portarmi a casa delle nuove ricette e fare scorta di Tahina, la pasta di semi di sesamo che si usa in tutto il Nord Africa e nel Medio Oriente.
Agli amici che leggono questo blog prometto ovviamente di riportare impressioni e fotografie da pubblicare.

martedì 22 dicembre 2009

Tempo da cani

Sono diversi giorni che provo a scrivere un post che abbia a che vedere con le moto. Dopotutto questo è un Blog per motociclisti, anche se guardando fuori vedo tutto bianco e davanti al garage ho 40cm di neve. Te la do io la moto…
Improvvisamente, la sorte mi viene incontro. Nel trasloco di sei mesi fa, all’elenco dei beni dispersi si sono aggiunti i miei stivali doposci. No, non sono i Moon-Boots da tamarro, ma dei sobri stivali grigi in gomma e goretex che passano del tutto inosservati e ben si addicono al mio carattere schivo.

Non ultimo, tengono caldo ai piedi e l’acqua non entra. Che cosa di più gli si può chiedere? Ma ora saranno in cantina, nascosti in qualche insospettabile scatolone che reca la scritta: libri scolastici o vecchio frullatore e quindi momentaneamente introvabili.
La sorte, dicevamo. I miei cani stavano facendo cagnara e volevano uscire a giocare. Bè, dai cani che altro puoi aspettarti? Gattara?




In assenza di calzature da neve, ho ingrassato per bene i miei stivali da moto SIDI e mi sono avventurato con le due belve nella coperta di neve fresca. Missione compiuta, piedi asciutti e perfino al caldo. Cani entusiasti dell’avventura in questo strano elemento.
Jin, che è una Schnauzer nana, è sparita interamente nella neve e ne vedevo solo la testa che vagava a mo’ di periscopio nel mare bianco. Sam, che è invece di taglia media, ha scoperto che saltando come una lepre ci si sposta velocemente e si resta relativamente asciutti. Dev’essere una conoscenza incastonata nel DNA dei cani e che riaffiora nell’arco di pochi secondi. Dopo il primo affondamento nel manto nevoso, Sam ha trovato la soluzione in un attimo.

Ma non credetemi sulla parola. Guardate voi stessi il video! E visto che ci siamo, trascorrete delle buone feste, con un anno come il 2009 alle spalle ve le siete meritate.



sabato 19 dicembre 2009

Vaticano ©

La notizia:
Città del Vaticano, 19 dic. (Apcom) - Non si può usare il 'logo' del Papa senza autorizzazione del Vaticano: lo precisa una nota della sala stampa della Santa Sede.
La precisazione si è resa necessaria per “salvaguardare la figura e l'identità personale” dei successori di Pietro dagli abusi di immagine perpetrati da loschi individui, che si fregiano senza permesso della “corporate image” vaticana.
A questo punto chiederete: “ma che caspita me ne faccio io del logo del papa?” Ma ragioniamo: l’uso del logo pontificio non si riduce ad appiccicare un adesivo sull’automobile (anche se al momento non mi viene in mente un solo stordito che lo farebbe). Gli abusi che irritano il nostro Benedetto papa sono di altro genere.

Questi esempi esecrabili vi mostrano a che cosa sono arrivati avventurieri senza scrupoli per promuovere i loro prodotti e servizi.






Bene ha fatto Benedetto a dire basta al mercimonio del suo “crest” secolare! D’ora in poi il logo papale avrà un © che lo accompagna, ma io suggerirei all’Infallibile di registrare anche un , trattandosi di uno stemma che si è nei secoli accompagnato a grandi operazioni commerciali, dai pellegrinaggi all’editoria. Per cui preparatevi a veder sparire biechi sfruttamenti della sua immagine come quelli seguenti.







Chiuderei questo post dal vago sapore natalizio con una lieta novella.
"L’abete di Natale di Piazza S. Pietro sarà un albero davvero verde (sic) a testimoniare l’interesse del Papa per le tematiche ambientaliste: sarà infatti a impatto zero, cioè a emissioni di CO2 controllate", o almeno così sviolina la stampa.

Sfortunatamente però, il Sommo Pontefice ha annunciato che la sua cena di Natale sarà a base di canederli, Weisswurst con senape dolce e Lebkuchen. E qui temo che le sue emissioni saranno incontrollabili.

giovedì 17 dicembre 2009

Sam e la neve



Questa notte ci è venuta a trovare la neve. Niente di serio, giusto una spolverata che l'aria gelida dei giorni scorsi aveva lasciato presagire.

La giovane Sam, che ha giusto compiuto un anno, ancora non conosceva la neve.

Il battesimo c'è stato questa mattina. Trovare il suo prato preferito coperto di neve l'ha un po' spiazzata. Continuava ad annusare questa strana patina bianca, finché non ha scoperto che si poteva anche leccare e, incredibilmente, sapeva d'acqua!

La scoperta della neve l'ha addirittura affascinata più del nostro tradizionale gioco, il lancio di sassi, che (a parte il mangiare) è la sua più grande passione.

Con i suoi baffi grigi da Schnauzer innevati mi ha fatto pensare a un'assurda immagine di Giuseppe Verdi (ricordate le vecchie Mille Lire?) che si è appena mangiato un pandoro coperto di zucchero a velo.

Rientrati in casa, la vedevo irrequieta. Aveva di nuovo voglia di uscire e correre sul prato a muso basso sollevando la sottile coltre di neve come la pala di uno spazzaneve. Ma ritornati al prato un paio d'ore dopo la neve non c'era più. Sam mi ha guardato perplessa come per chiedermi: "Ma che cosa hai fatto?"

Non c'è niente come un cane per farti sentire onnipotente...

martedì 8 dicembre 2009

Vaneggiamenti da motoastinenza

Tempo da funghi.
No, non immaginatemi in giro per boschi con coltello e cestino. I soli funghi che mi piace cercare sono quelli della varietà già cucinata. Mi spiego meglio quindi: situazione meteo che i funghi gradiscono.
Se mi leggono degli umani, non potranno che concordare. Se mi leggono dei funghi, intanto faccio loro vivissimi complimenti (non conosco molti funghi che leggono l’Italiano) e poi mi auguro che non me ne vogliano.
Quel tempo umido e relativamente mite che i funghi adorano, a noi esseri umani francamente fa schifo. Specialmente poi se si tratta di umani con la passione della moto.

Nel mio garage ho installato un deumidificatore. Considerato il contenuto del locale, che fa un po’ da ritiro spirituale, laboratorio, negozio di articoli moto, deposito ricambi e guardaroba di vestiario tecnico, mi è parso opportuno proteggere il tutto dagli effetti deleteri dell’umidità.

Bè, il deumidificatore mi produce circa 3 litri d’acqua al giorno.
Non male. Se riuscissi a venderla a qualcuno, mi sarei ripagato l’investimento.
“Umidità Milanese” in comode bottiglie PET riciclabili. Portate a casa un ricordo della Pianura Padana.
Non sarà proprio “Milano da bere”, visto che non mi azzarderei a chiamarla potabile, ma l’acqua è bella limpida e il mio cane prova a berla mentre la rovescio nel tombino.

Ma di acqua e umidità si è già parlato troppo. Ho voglia di aria asciutta e tiepida e sarà il caso di andarsela a cercare da qualche parte. Qui, ai piedi delle Alpi, l’attesa potrebbe rivelarsi eterna.

Mi sono consultato con altri correligionari e stiamo covando una sortita “importante”. Non dico ancora nulla per scaramanzia ma ben presto potrò rivelarvi di più.

Se poi qualcuno vuole buttarsi a indovinare, ci provi. Vi darò una sola parola a titolo di indizio: “delenda”.



martedì 1 dicembre 2009

On the Mother Road


New Mexico, USA, fine di Maggio. Il tracciato della vecchia Route 66 attraversa un tratto desertico dalla terra rossa che segue il letto di un fiume in secca e si estende all’infinito nell’aria tremolante per il calore. Il fondo stradale è in pessime condizioni, ma è quello autentico della leggendaria strada americana: The Mother Road, da Chicago a Los Angeles in 2.400 miglia. A poca distanza, carica di traffico, corre la Interstate 40 che qui l’ha ormai soppiantata da decenni e già da quasi un’ora non ho diviso la strada con nessuno.

Alla mia destra vedo i resti di un vecchio ponte della ferrovia, molti dei piloni in legno sono crollati e quelli ancora in piedi sembrano un gruppo di ubriachi. Mi tornano alla mente mille scene di film western, con il treno a vapore che arriva sferragliando sul singolo binario mentre dai piloni del ponte penzolano le micce sfrigolanti della dinamite.

Mentre mi fermo a scattare un paio di foto, all’orizzonte appare una nuvola di polvere. In pochi minuti arriva un vecchio pick-up con due uomini a bordo. Si fermano a fianco della mia Ford noleggiata e il guidatore apre il finestrino. È un uomo sulla quarantina con un berretto da baseball e strizza gli occhi contro il sole. “Problemi alla macchina?” mi chiede.

“No - gli rispondo – sto facendo un po’ di foto.”

“Sei anche tu uno di quei matti che si fanno tutta la Old 66 fino a LA per il solo gusto di farla?”

Confesso la mia colpa e racconto loro di essere addirittura venuto apposta dall’Europa. Si guardano ridendo e scuotono la testa. “Senti, se ti va di bere qualcosa di fresco, seguici fino al ranch qui dietro la curva.”

Accetto volentieri. Sebbene sia ormai abituato all’ospitalità immediata di molti Americani, questa volta rimango stupito. L’Europeo in me si chiede anzi se sia cosa saggia seguirli “dietro la curva” carico di macchine fotografiche e dollari in contante.
















Ma siamo già arrivati. Il ranch è una casetta squadrata come la disegnerebbe un bambino; a fianco sorge un capannone con un paio di trattori, niente a che vedere con i pittoreschi fienili in legno che ancora si trovano dappertutto in America. C’è un pozzo artesiano, qualche bidone di olio, due macchine parcheggiate e il resto è sabbia e collinette rocciose che si spingono fino all’orizzonte.

In questo mare di colore ocra, vedo lontano una macchia verde, come un’oasi nel deserto.

“È un vecchio pozzo che usava la US Cavalry per abbeverare i cavalli”, mi legge nel pensiero l’amico del pick-up mentre mi porge una lattina di birra imperlata di condensa. “Qui non c’è un gran che, ma se ti fermi domani possiamo fare un giro a cavallo.”

Lo ringrazio, ma spiego che devo continuare fino a Flagstaff in Arizona. “OK, come vuoi”, mi dice. Gli Americani non insistono quasi mai, visto che loro stessi raramente dicono “no grazie” solo per fare complimenti.

L’amico sparisce nel ranch e ritorna dopo un minuto con un six-pack di birre Coors Extra Gold gelate. “Mettile al fresco” mi dice. Deve aver visto il cooler di plastica che ho comprato al Wal-Mart per pochi dollari. Se attraversi l’America senza averne uno, devi essere per forza uno straniero alla sua prima visita.

Come back anytime, y’hear?” mi salutano lui e il suo amico, mentre salgo in macchina.
Dopo pochi secondi il ranch sparisce nella nuvola di polvere che mi lascio dietro. Ora sono di nuovo sulla Route 66 con la mia Ford bianca velata di polvere rossa mentre, armato di una Reflex e 6 birre gelate, inseguo un obiettivo che si sposta con l’orizzonte. Mai come questa volta, la mia destinazione è la strada stessa.