giovedì 28 gennaio 2010

Tanto di cappello

Il post precedente sulla Fauna invernale ha fatto un discreto scalpore. Bè, tutto è relativo.
In realtà ho ricevuto una sola mail di un amico che mi chiedeva di affrontare anche il tema dei cappelli.

L'argomento però è complesso e la casistica molto variegata. Tuttavia posso citare alcuni fatti scientificamente provati che riguardano in particolare i berrettini con visiera, un tipo di copricapo che abbiamo importato dagli USA, dove li chiamano ball cap.

Il berrettino permette di essere indossato in tre modi principali.

Il primo, di gran lunga il più diffuso, prevede che la visiera (debitamente arricciata) sia parallela al naso del portatore. La cosa ha una certa logica, visto che la visiera serve appunto per riparare dal sole gli occhi di chi indossa il berrettino, posto che abbia gli occhi collocati ai lati del naso.

Questa modalità è prescelta da circa il 75% delle persone, che abbiano 3 o 93 anni.

La seconda modalità è quella della visiera ruotata all'indietro, scelta d'obbligo per il 20% dei portatori.
Questa opzione sottintende il desiderio di porsi come alternativa alla maggioranza ed è indizio di uno spirito libero e anticonvenzionale. Tuttavia può anche essere adottata da appartenenti al primo gruppo che abbiano l'esigenza momentanea di scattare fotografie o scolarsi una bottiglia.

La modalità che chiameremo "perpendicolare" richiede che la visiera (rigorosamente piatta) sia ruotata di 90° rispetto al naso, andando così a coprire un orecchio, che sia il destro o il sinistro non è rilevante. Questa è una modalità dalle forti connotazioni etniche, molto spesso adottata da gangsta neri e Latinos, ma anche prediletta da quei bianchi che si sforzano di copiarne il look. Stiamo parlando di un 5% dei portatori di ball cap, ma si tratta di una minoranza che coltiva con particolare attenzione la sua immagine e la sua diversità.

Per queste due ultime modalità, il gruppo d'età copre sempre dai 3 ai 93 anni, ma occorre operare una distinzione fondamentale.

Chi porta la visiera all'indietro o di lato e ha un'età compresa tra 3 e 10 anni è definibile "sbarazzino". Da 10 a 21 anni diventa "figo", dai 21 ai 41 si considera "pirla" e dai 41 in su è semplicemente "patetico".

martedì 26 gennaio 2010

Fauna invernale

Inverno in città.
Cielo grigio e basso, aria tagliente. Ogni tanto un fiocco di neve galleggia nel vento, a volte è solo il primo di una silenziosa invasione barbarica che cavalca le gelide correnti d'aria settentrionali.

L'inverno in città segna la comparsa di strane creature ibride. La più diffusa è alta circa 130cm, ha la forma di un pinguino e la camminata dell'anatra. La vedete ricoperta di un folto pelo, ma non è il suo.
Di norma è quello di una Mustela lutreola, più nota come visone.
Lo strano ibrido impellicciato di cui parliamo, tarchiato e dal passo ondeggiante, è definito dagli scienziati Sciura vulgaris o Buzzicona urbana. La sua prima apparizione sui marciapiedi cittadini avviene di norma a Ottobre, ma non sono rari gli avvistamenti a fine Settembre: si tratta di esemplari impazienti di uscire dalla tana con il pelo invernale.


Analogamente, la Sciura vulgaris cambia il manto attorno alla fine di Marzo, ma se ne vedono ancora in giro alcuni capi ad Aprile, particolarmente in presenza di giornate ventose.

Queste creature tendono a formare piccoli gruppi, di solito nei mezzi pubblici in prossimità delle porte di ingresso e uscita, dove sono capaci di squittire per ore. Difficile decifrare il senso del loro verso, data la tendenza a parlare tutte contemporaneamente. Il Vallicelli, antropologo di fama mondiale, sostiene che il loro verso non abbia particolari finalità di comunicazione ma serva solo a indicare la loro presenza nel branco.
Sono frequenti gli avvistamenti nei supermercati, dove esse (nonostante il riscaldamento) si aggirano con il capo immerso nel pelo lasciando spuntare solo gli occhi. È anche probabile che trascinino dietro di sé dei carrellini su due ruote, che tendono a sbatterti negli stinchi quando provano a passare davanti alla fila delle casse, approfittando della loro bassa statura.

Altra presenza tipicamente invernale è una figura marginalmente più alta (la media è 150cm) del peso approssimativo di 75kg, rivestita di colori sgargianti. Trattasi di Homo articus, una creatura ultrasessantenne paludata in improbabili abiti tecnici che recano misteriose scritte come Henry Lloyd Ocean Race o Napapijri, a testimonianza di ipotetiche traversate atlantiche o esplorazioni dell'Artico.
Il Prof. Torrini dell'Istituto Antropologico Lombardo ne ha censiti alcune decine di migliaia nella sola città di Milano. Nonostante indossino indumenti realizzati con materiali d'avanguardia e capaci di resistere alle intemperie, alcuni esemplari catturati dai ricercatori e poi rilasciati con un chip GPS sottocutaneo hanno dimostrato di non spostarsi mai a latitudini più alte di Cinisello Balsamo o Legnano né di affrontare navigazioni d'altura di qualunque tipo, se si esclude la traversata del Lago di Como Bellagio-Varenna su comodi traghetti a motore in quanto priva di intrinseca pericolosità ed esposizione agli elementi.
Gli scienziati sono divisi sul significato di questa contraddizione tra il manto invernale e le comode abitudini stanziali di questi esemplari. Anche il sottogruppo che si è occupato del rivestimento degli arti inferiori ha raccolto indicazioni contraddittorie.

"Desta grande perplessità - recita la relazione degli antropologi - la predilezione per calzature in pelle animale sottoposta a trattamenti idrorepellenti, quando il solo impiego che ne viene fatto è nei centri commerciali o in metropolitana. Altrettanto dicasi per le calzature tecniche del tipo antinfortunistico (come le scarpe Timberland Pro-Line) segnalate ai piedi di pensionati in fila alla Posta Centrale."

venerdì 22 gennaio 2010

Banalità metropolitane

Con questo tempo, mi ritengo fortunato di lavorare da casa.
Vedo passare motociclisti infagottati in sella ai loro mezzi e sento un gran freddo per loro.


Spesso però, devo spostarmi in centro città e allora il mio mezzo di trasporto preferito è la metro.
Mi trovo un posto a sedere, apro un libro e mi lascio teletrasportare nel cuore di Milano, mentre la mente azzera il rumore delle ruote sui binari e il brusio della gente.

Questo, beninteso, quando tutto va bene.

Ieri non ho fatto in tempo a sedermi e estrarre il libro che tre donne si sono piazzate in piedi davanti a me e hanno prontamente avviato le mandibole. Una di loro, quella dal Decibel facile, si è rivelata un'autorità sugli yoghurt e una madre attenta ai gusti capricciosi del suo bambino.

"Se non gli do il PincoPalla alla Fragola me lo butta per terra! Devi vedere le scene che mi pianta..."

L'intero vagone (dato il tono di voce) partecipa al dramma.
Io continuo a fissare la stessa riga del libro da cinque minuti mentre sogno di fare al simpatico frugoletto una maschera facciale di yoghurt e poi lavare il tutto con l'idropulitrice da 200 Bar.

Il trio prosegue nella discussione. Per qualche motivo adesso si parla di lavastoviglie. 100 Decibel riprende la parola: "La mia ha tre cestelli". "No - ammette triste una delle altre - la mia ne ha solo due."
Non c'è niente come un cestello in meno per rovinarti la giornata. Arrivi in ufficio che già ti girano, ma per fortuna te la prendi subito con i poveri colleghi di lavoro, che ignorano la tua profonda inadeguatezza in materia di elettrodomestici e magari pensano che tu abbia dei veri problemi in casa.

Il treno va a rilento: c'è stato un guasto alla stazione di Cadorna. Il trio maledetto imperversa e si accende il dibattito sulla durata dei programmi di lavaggio. Sembra che quello da 40 minuti raccolga enfatici consensi. Siamo giunti a parlare in grande dettaglio dei brillantanti quando, miracolosamente, arriviamo alla fermata Duomo e io mi lancio dal vagone verso l'aria fredda della piazza.

Qualche settimana fa, stesso dramma. Treno che viaggia a strappi e tre donne che descrivono nel dettaglio più orrido problemi di gravidanza e splatter raccapriccianti in sala parto, mentre il manovratore ci tiene aggiornati tramite l'altoparlante dei progressi del nostro viaggio. Ma le tre proseguono imperterrite e straparlano sopra la vocina metallica che giunge dalla cabina di guida e ci annuncia che la corsa è interrotta.

Il treno si ferma e tutti scendono. Mentre mi accingo a lasciare il vagone, una delle tre mi chiede: "Ma quando l'ha detto che il treno era guasto?"

"Tre cesarei fa" le rispondo.

domenica 17 gennaio 2010

Neve e sabbia

Dopo una settimana intera a cavallo della moto guardando la sabbia scorrere veloce ai lati della strada, il ritorno da Genova a Milano nella nebbia ghiacciata e con i prati coperti di neve è stato un bel salto.
Ma è sempre così: i viaggi ti portano via dalla routine quotidiana ma inevitabilmente ti riportano indietro.

Il piacere di viaggiare esiste perché hai una quotidianità da interrompere. Viaggiare sempre (lo so perché ci sono passato) ti brucia la vita.

Ma facciamola finita con le divagazioni filosofiche. Il viaggio in Tunisia appena concluso è riassunto in queste slide che seguono: sono 190 immagini e come sempre ciascuna di loro dice di più di mille parole.



PS: le didascalie sono in una strana mescolanza di Italiano e Inglese, dato che la stessa presentazione appare anche in un forum americano.

domenica 3 gennaio 2010

Guardando le nuvole



Gli anni della mia infanzia li ho vissuti in un palazzo di città circondato da altre case. Avevamo tre balconi, ma da qualunque parte mi affacciassi non vedevo mai l'orizzonte.
Da bambini, il bel tempo voleva dire: si esce in cortile a giocare con gli altri. Da ragazzi, il bel tempo ti permetteva di spingerti oltre, di andare "al prato", dove la città finiva e iniziava quel mondo misterioso chiamato campagna.
Ricordo ancora chiaramente di essere salito molte volte fino all'ultimo piano per guardare dalla finestra delle scale se quelle nuvole che avevamo sopra la testa avrebbero portato ancora maltempo o se qualche sprazzo di blu si stesse facendo largo da lontano.
Il fascino per la meteorologia mi prese allora, quando cercavo di leggere nel movimento delle nuvole portate dal vento se il tempo sarebbe migliorato o meno.

Oggi, due generazioni dopo, mi ritrovo spesso a cercare di interpretare la direzione del vento e delle masse nuvolose per scoprire se il giro in moto sarà asciutto o bagnato.

Oggi, a 72 ore dalla partenza per la Tunisia, annuso l'aria e poi decido di barare e guardare in Internet.
Il tratto critico è il passaggio dell'Appennino per scendere su Genova. Se c'è neve in terra può rivelarsi un momento delicato per chi viaggia su due ruote.

Una volta a destinazione, non avremo problemi a sceglierci un itinerario in base alle condizioni meteo. Ma qui in Italia sembra che la neve voglia riaffacciarsi quando meno la vorremmo.

Ma'alesh, pazienza, direbbero in Arabo. Noi partiremo lo stesso, come abbiamo sempre fatto. Il bello di questi viaggi in moto (Turchia, Tunisia, Spagna e altri ancora) non è solo la strada, ma il gusto di percorrerla insieme a degli amici. Ricordo con uguale piacere le galoppate su strade assolate e quei momenti in cui gli elementi hanno deciso di mettersi di traverso a bloccarci la strada.

Nubifragi in Sicilia, vento a 90 kmh in Spagna, pioggia e nevischio sulla Sila, ghiaccio e neve in Nord Italia. Momenti poco simpatici ma vissuti e superati insieme a dei buoni compagni di viaggio.
Si appendono gli abiti fradici ad asciugare, si mette qualche birra sul tavolo ed è di nuovo tutto a posto.