martedì 29 marzo 2011

Magia del ferramenta


Una delle cose che apprezzo di più del fatto di vivere fuori da una metropoli, ma sempre tanto vicino da arrivare a piedi alla metropolitana, è il fatto che qui ci sono ancora la cartoleria e il ferramenta.

Che discorsi...direte voi. Questi negozi si trovano ancora a Milano o Roma e in altre grandi città.

Il fatto è che però sono quasi spariti e quindi è raro averceli sotto casa. Avendo abitato a Milano per undici anni, non ne avevo nessuno dalle mie parti.

Qui invece ci posso andare a piedi o in bicicletta. Se mi servono 5 (o anche 7) buste per corrispondenza, un foglio (e non dieci) di etichette adesive, non sono costretto a comprarne un numero fisso e a mettermi in coda alla cassa dietro un carrello contenente la spesa di un anno per una famiglia di 8 persone.

La vera magia però è visitare il negozio di ferramenta, con i suoi scaffali ordinati, le cassette di attrezzi, i banchi da lavoro, i compressori e i rotoli di tubo da giardino. Mi piace perfino l’odore di lamiera verniciata, cartone e olio minerale che ci si respira.

Puoi prendere le chiavi inglesi e soppesarle in mano, ruotare quelle a cricchetto per valutarne la fattura e la precisione, scegliere le punte da trapano direttamente dall’espositore.

Ma il fattore per me più importante è che puoi parlare con qualcuno.

La cosa più negativa della grande distribuzione è che l’elemento umano non c’è più.
Il Signor Paolo con lo spolverino blu lo trovate solo dal ferramenta (e ancora per poco, perché i figli lavorano in banca o insegnano matematica). Gli puoi chiedere informazioni, puoi fargli aprire una cassetta di ferri e se poi non ti bastano i soldi puoi anche tornare a pagare dopo. E’ lui che sale sulla scala e ti tira giù una cassetta di cartoncino con lucchetti, bulloni, ganci, occhielli, squadrette e mille altri articoli di ferramenta che prima o poi qualcuno cerca.

La maggior parte delle volte che ho fatto spese in un grande ipermercato del fai-da-te ho trovato invece interlocutori sprovveduti e disinteressati. “Se non trova l’articolo nella corsia 4 vuol dire che non ce l’abbiamo”. E non parliamo poi di chiedere loro qualche consiglio di ordine tecnico. Non hanno idea e non gli interessa averla.

Per molti addetti il motto è: lavoro qui ma non me ne frega niente: io sognavo di fare il DJ.


giovedì 17 marzo 2011

Fratelli d'Itaglia

Alla faccia dell'Italia cialtrona e bancarottiera che si regala una festa inutile e insignificante per i 150 anni della sua magra sopravvivenza, oggi ho lavorato tutto il giorno e così ha fatto mia moglie.

Mentre martellavo la tastiera del Dell, un mega-file audio da qualche Giga girava sull'impianto stereo e mi dava la giusta carica. Oggi, signori, mi sono fatto un'overdose da musica classica.

Pezzi da brivido, da Nessun Dorma di Puccini al Requiem K.626 di Mozart. Il meglio che un'Europa ormai scomparsa è riuscita a produrre.

E allora mi è venuto da pensare a quel patetico inno nazionale che ci ritroviamo, Fratelli d'Italia, anche noto come l'Inno di Mameli.

Dopo aver ascoltato pezzi come la Marcia Trionfale dell'Aida o il Va pensiero del Nabucco (di quel gigante di Giuseppe Verdi), il nostro inno suona come una pisciata a fianco delle cascate del Niagara.

Il pezzo che candiderei  a inno nazionale (e non sono il solo) è la Marcia Trionfale: regale, elegante e di una potenza ciclopica. Anche il Va pensiero non scherza, è corale e commovente. Un pezzo che ti lascia stremato.

Ma forse va bene così, lasciamo pure le cose come stanno. Siamo un paese destinato all'irrilevanza più totale, in mano a una banda di guitti cleptomani, presieduto da una cariatide stalinista e amministrato da cazzoni che abbassano l'inquinamento a colpi di cartelli con scritto 70 kmh.

Teniamoci Fratelli d'Italia. E' la classica musichetta concitata da banda di paese che ci meritiamo.

La Marcia Trionfale dell'Aida è un capolavoro. Speriamo che se la compri un paese serio. Per capirsi, uno che elimini un paio di feste nazionali invece di crearle.

giovedì 10 marzo 2011

Buona strada, Muammar


Ultimi giorni di Libia con il Colonnello ancora al timone.
L’improvvisa concatenazione di moti popolari nel Nord Africa ci avrà anche sorpreso in questi ultimi mesi, ma basta gettare un rapido sguardo al passato e risulta chiaro che nulla dura molto a lungo in questa parte del mondo, tanto meno i sedicenti Re dei Re d’Africa.
A Tripoli c’è senz’altro qualcuno che sta già facendo incetta di vernici per esterni, nella ragionevole aspettativa che il colore verde del regime ormai in crisi terminale venga sostituito da un altro colore.

La Piazza Verde voluta da Gheddafi si chiamava Piazza Indipendenza dalla fine del regime coloniale italiano fino al 1969. Prima ancora era stata Piazza Italia. Tra qualche mese le persiane che si affacciano su di essa avranno un altro colore, il colore ufficiale della nuova Libia. Quale esso sia non è dato sapere. Di sicuro si può dire che il prezzo dello smalto verde è crollato ai minimi storici.

Intanto qualcun altro avrà pensato a rimettere in funzione il vecchio Maggiolino Volkswagen color turchese che è da anni esposto al Museo della Jamahriya perché di proprietà del Cap. Muammar Gheddafi ai tempi del suo colpo di stato. In Libia non si butta niente, una batteria seminuova, un cambio d’olio e quattro gomme ricoperte e il Maggiolino riprenderà a circolare per le vie di Tripoli. Quanto al suo proprietario (sono sicuro che la macchina è ancora intestata a Lui) non sarei troppo sicuro di un riciclaggio. Finirà probabilmente “rottamato”, ma rottamato di lusso in qualche Paese compiacente che aprirà le braccia a lui e ai miliardi che ha accantonato in 40 anni di regime.

Aria di smobilitazione anche fra le amazzoni del colonnello, le 40 soldatesse della sua guardia del corpo.
Non si vedono più attorno al Leader Fraterno già da qualche tempo. La stampa italiana, che non si lascia sfuggire una banalità se questa può solleticare le masse, si interroga sulla sorte delle 40 guardie del corpo, che definisce “bellissime”, “curate e ben truccate”.
Non è da escludere che ce le troveremo a breve in qualche spettacolo televisivo.

Anche in Italia non si butta niente,  dai Savoia fino alle vecchie carampane dei telegiornali fino (e soprattutto) alla classe politica.
La cultura nazionale vuole che, una volta conquistato il “posto”, nessuno te lo possa più togliere.
E allora viva la faccia della Tunisia, dell’Egitto e della Libia. Almeno loro ci stanno provando.