Le strade si affollano di motociclisti, italici e stranieri, ora che si rischia di prendere una settimana intera di sole e la tuta antipioggia può restare sul fondo del bagaglio.
Se ne vedono a centinaia e il tuo braccio sinistro è sempre pronto a salutarli o a ricambiare il loro saluto.
Già, il saluto! Una di quelle cose che ci separa dagli automobilisti e ci pone a millenni di distanza dagli scooteristi nella scala evolutiva.
Il saluto del motociclista si presenta in tante forme diverse, ognuna espressione della personalità del titolare del braccio (o a volte della gamba).
Ci sono volte però che il saluto non ti riesce, ma non è per alterigia o supponenza. Sono quei momenti in cui ti servono tutti gli arti del corpo e la testa non può che puntare l'uscita dalla curva: stai arrivando allegrotto in un tornante, il solito ciclista davanti a te sta facendo i bordi come una barca a vela e dall'altra parte scende una vecchia Honda Pan. Scali due marce, scansi il ciclista, imposti una traiettoria semi-decente ed esci dalla curva. Il tizio della Pan ti ha salutato, ma tu non avevi un arto libero per contraccambiare il saluto.
Se è uno che va in moto da qualche anno, avrà capito che avevi altro da fare.
Ma torniamo ai saluti riusciti.
C'è il saluto lento e ampio, il braccio che si abbassa verso la strada e risale solenne verso l'alto, le dita della mano che formano una V. È il saluto che dice: ciao fratello, giornata da moto oggi. Buona strada a te.
C'è il saluto nervoso di chi non ha che un secondo di tempo prima di dover tornare alla condotta del mezzo. Come se quello della Pan ti avesse incrociato un attimo prima della manovra cliclista/tornante.
Anche quello è un: ciao! ma un po' stressato.
C'è il saluto elettronico di chi ti lampeggia e basta. Non mi soddisfa più di tanto ma può ancora andare.
C'è infine il "saluto italico", il più stitico della serie.
Incontri un motociclista in rettilineo, zero stress, mani e piedi liberi salvo la presa sulla manopola del gas.
Lo saluti con il gesto consueto e lui ti risponde sollevando due dita guantate dalla manopola sinistra.
Fatto, tutto qui. Due dita.
Ma non vogliategliene male. Al motociclista italico quella manovra è costata comunque uno sforzo psicologico immane. C'è stata un'illuminazione sconvolgente, qualcosa che solo anni di psicoanalisi possono produrre.
Ha dovuto ammettere a se stesso di non essere l'unico utente della strada in quel momento. Ha preso coscienza del fatto che c'era anche qualcun altro a cavallo di una moto, che la sfera terrestre era popolata anche da altri umani e non solo da lui.
Il saluto, nella sua forma elementare di riconoscimento dell'esistenza del prossimo, c'è comunque stato.
Sappiate anche che scoprire così bruscamente di non essere il primo e l'unico motociclista al mondo gli ha rovinato la giornata. Vi deve bastare.
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