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mercoledì 7 ottobre 2009

Due storie, una domanda


















  • Sto viaggiando in auto su una strada a 4 corsie separate da aiuola spartitraffico. Fa caldo e il mio finestrino è aperto. Sento sopraggiungere in corsia di sorpasso un baccano metallico infernale, come un chilo di viti e bulloni agitati in una pentola.

Mi supera una Ducati Monster con un tizio in tuta di pelle arlecchino che viaggia curvo sul serbatoio a gran velocità. Lo “sento” vibrare come una lavatrice e, da motociclista, soffro per lui.

Cinquanta metri più avanti, il solito idiota esce in sorpasso all’improvviso, l’auto che precede il Monster si attacca ai freni e il motociclista Bang! le si pianta dentro. Moto e pilota vanno in terra: lui non sembra ferito gravemente, la moto è da rottamare.

  • Un gruppo di amici esce per una domenica di Ottobre sui tornanti. Nonostante siano dei motociclisti esperti e veloci, si vedono superare a gran velocità da alcuni ragazzi su moto sportive, tutti con fidanzatina a zaino, tutti al limite dell’aderenza.

Pochi chilometri più avanti, al gruppo di amici che scendono dal passo si presenta la scena di un incidente mortale. C’è una coppia di quei ragazzi in terra, la moto è accartocciata più avanti. Lui è morto, lei è ferita ma se la caverà. Gli altri ragazzi sono statue di pietra con le mani nei capelli.

A tutti noi piace l’adrenalina di una strappata al limite, e tutti conoscono quella strega che ti spalanca la manetta, ma bisogna saperle resistere. Istinto o ragione che sia, via il gas, giù con i freni e l’occhio sempre fisso sulla strada. Ogni distrazione rischia di essere l’ultima.

Perché morire da stupidi?

lunedì 31 agosto 2009

Singin' in the rain

Ore 7:30 di ieri: guardo fuori e vedo un cielo grigio e basso, con nuvole nere che viaggiano veloci da NE; ma le previsioni non danno pioggia.
Solo cielo coperto e temperature a picco.

Gli amici arrivano alle 9:00 e ci mettiamo in strada. E dopo un paio di minuti inizia puntualmente a piovere. Niente di eccezionale, solo un po’ d’acqua a vento.

La strada prosegue monotona ma veloce e l’acqua scorre via dal parabrezza e dalla visiera del casco in un turbine d’aria. La mia tuta antipioggia rimane piegata in una borsa della moto.

Dopo un’ora lasciamo la pianura per arrampicarci sui primi contrafforti del Monte Penice; qui la pioggia ci regala una breve tregua e la strada si rivela asciutta. Sopra di noi, il cielo basso nasconde gran parte del monte.

Se la temperatura fosse più alta, questa montagna verde incappucciata di nuvole potrebbe essere il vulcano sacro di un'isola dell’Indonesia e noi i pellegrini diretti alla cima. Scene di una salita al Monte Agung mi passano nella testa come una rapida proiezione di diapositive.
Ma a parte la salita nelle nuvole, è tutto sbagliato: odori e colori non sono giusti, la strada è troppo deserta e le case di Romagnese non sono quelle di Besakih.

L’aria è fresca e l’acqua nebulizzata che mi arriva nella visiera aperta è una goduria. Dopo tanta afa, la sensazione di freddo è impagabile. La strada continua a salire e le moto scuotono il silenzio della montagna: stiamo andando veloci e l’occhio non si stacca mai dalla strada. Foglie, sassolini, buche possono rovinare la magia di un’arrampicata come questa.

Ora siamo entrati nella nuvola e la visibilità crolla: vediamo a meno di cinquanta metri, ma di più non ci serve su un misto stretto come questo.

Arriviamo al passo con l’aria pungente dei mille metri e il profumo dei boschi che si fanno sentire prepotenti appena mi tolgo il casco. Non importa se ha ripreso a piovere. Anzi, è più bello così.

venerdì 7 agosto 2009

Una boccata d’aria

Se non contiamo gli incidenti evitati (grazie alla concentrazione di chi guida la moto e al santo ABS) e lo stillicidio di geriatrici rintronati alla guida di camper troppo grossi per loro, un giretto sulle montagne in questi giorni è un tonico incredibile.

L’aria è fresca e limpida, il cielo di un blu impossibile che quasi esaspera i colori. Overdose sensoriale a ogni curva: il profumo dei boschi, l’aria fresca a 15° che corre sul collo, il motore che ti proietta in avanti come una fionda appena spalanchi un po’, gli altri motociclisti che incontri a decine, tutti con la mano fuori a salutare.

Un giorno qualunque della settimana (mai il weekend, per carità), una partenza di prima mattina e sei subito sulle Alpi. La Val Cenis, dopo il dimesso e fatiscente valico del Moncenisio, è un alveare di attività turistiche. I paesi sono ben curati e ci sono fiori dappertutto. Avendo tempo, ci sarebbe da fermarsi a gustare le specialità della Savoia e bere una birra dei brasseurs locali.

Ma il tempo non c’è e si gira con lo sguardo che ogni pochi secondi lascia l’asfalto e si perde lassù in alto nelle montagne. La strada si dipana in maniera spettacolare e quasi non ti accorgi di tutto quel traffico di vacanzieri ubriachi di sole.

E poi comincia la splendida salita dell’Iseran. La strada è priva di protezioni e sembra grattata via dai monti. Se la chiudessero, hai l’impressione che la montagna se la rimangerebbe in pochi anni. In cima al passo, a 2770 metri, il cielo è quasi trasparente e ti prende la voglia di imbottigliare quell’aria fresca e limpida per riportarla in Val Padana.

Un giro come questo ha un ritmo necessariamente serrato, che non lascia troppo tempo per lunghe pause. È già tanto togliersi il casco ai lati della strada per fare due foto. Ma la carica positiva di quelle vedute e di quel cielo terso te la porti dentro per qualche giorno.

Ma dopo un po' bisogna ritornare lassù.