Solo cielo coperto e temperature a picco.
Gli amici arrivano alle 9:00 e ci mettiamo in strada. E dopo un paio di minuti inizia puntualmente a piovere. Niente di eccezionale, solo un po’ d’acqua a vento.
La strada prosegue monotona ma veloce e l’acqua scorre via dal parabrezza e dalla visiera del casco in un turbine d’aria. La mia tuta antipioggia rimane piegata in una borsa della moto.
Dopo un’ora lasciamo la pianura per arrampicarci sui primi contrafforti del Monte Penice; qui la pioggia ci regala una breve tregua e la strada si rivela asciutta. Sopra di noi, il cielo basso nasconde gran parte del monte.
Se la temperatura fosse più alta, questa montagna verde incappucciata di nuvole potrebbe essere il vulcano sacro di un'isola dell’Indonesia e noi i pellegrini diretti alla cima. Scene di una salita al Monte Agung mi passano nella testa come una rapida proiezione di diapositive.
Ma a parte la salita nelle nuvole, è tutto sbagliato: odori e colori non sono giusti, la strada è troppo deserta e le case di Romagnese non sono quelle di Besakih.
L’aria è fresca e l’acqua nebulizzata che mi arriva nella visiera aperta è una goduria. Dopo tanta afa, la sensazione di freddo è impagabile. La strada continua a salire e le moto scuotono il silenzio della montagna: stiamo andando veloci e l’occhio non si stacca mai dalla strada. Foglie, sassolini, buche possono rovinare la magia di un’arrampicata come questa.
Ora siamo entrati nella nuvola e la visibilità crolla: vediamo a meno di cinquanta metri, ma di più non ci serve su un misto stretto come questo.
Arriviamo al passo con l’aria pungente dei mille metri e il profumo dei boschi che si fanno sentire prepotenti appena mi tolgo il casco. Non importa se ha ripreso a piovere. Anzi, è più bello così.
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