Un mazzo di fiori sul guardrail è la storia di un’uscita finita male.
Escludendo l’ipotesi di un improvviso guasto meccanico, la principale causa degli incidenti non è la velocità ma la distrazione. Viaggiare veloci ma concentrati previene gli errori: la strada ti corre incontro come in un videogame, tu ne registri i segnali e reagisci di conseguenza. Guidare al margine delle tue capacità ti esalta e al tempo stesso ti stanca rapidamente. Ma se sai quando è ora di togliere il gas non ti uccide.
La distrazione, invece, non perdona.
Distrarsi capita. Possono essere la stanchezza, la noia, il caldo, la spossatezza, la sete, il sonno, una telefonata nel casco Bluetooth, una preoccupazione che riaffiora nel mezzo del viaggio, un secondo di troppo dedicato al GPS. Può succedere a chiunque, ma a determinare le conseguenze di una breve distrazione è solo il momento in cui la concentrazione salta.
La maggior parte delle volte non succede niente: il viaggio prosegue e quell’istante di vuoto viene azzerato. Altre volte, l’insidia nascosta e la distrazione si combinano con effetti catastrofici.
Le moto camminano per una serie di leggi della fisica che ne determinano la ciclistica e il funzionamento del motore, ma quello che le tiene in strada è la concentrazione del pilota.
Concentrazione vuol dire guardare la strada e i suoi utenti, studiarne i comportamenti e prevederne le manovre, cogliere gli indizi di una pendenza sbagliata, di un raggio di curva che si restringe, di ghiaia in carreggiata, di un incrocio nell’ombra, di una buca nascosta, di un velo di terra.
La moto ti permette di uscire e divertirti, ma è la concentrazione che ti riporta a casa.
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