Meno di un anno fa scoppiava il "caso Granarolo", sapete ...quelli della Lola e delle 50.000 mucche italiane. Peccato che parte del latte venisse da un'azienda tedesca e fosse contaminato con pseudomonas fluorescens, un batterio che, Sim Salabim! senza trucco e senza inganno, fa diventare blu le mozzarelle.
Putiferio mediatico. Minaccia di denuncia per frode in commercio da parte del Codacons, inchiesta della Procura di Torino. Mezza Italia incazzata e l'altra mezza angosciata al momento di comprare la mozzarella. Ne abbiamo parlato anche qui sul blog: La Lola si chiama Gretchen. Poi è finito tutto.
Come sempre il Paese dei mille garanti (pupazzi strapagati che non vedono e non fanno niente) non garantisce un beneamato caspita e il consumatore consuma a suo rischio e pericolo.
Ma non basta! Da qualche giorno, non ci crederete, la Granarolo ha rilanciato come se niente fosse una campagna pubblicitaria identica a quella di prima: l'agricoltore che sembra un professore di filosofia, la bella mucca al guinzaglio e un gran pascolo verde brulicante di mucche. Le avranno fatte al computer? Ci saranno veramente 50.000 vacche in tutta Italia? Contando anche le veline e le escort di regime, volevo dire.
Ah, dimenticavo, c'è anche il bambino dalla voce idiota che dice: E' quello della Lolaaaa.
L'azienda conta di sicuro sulla memoria corta dei consumatori e ricicla una vecchia pubblicità fatta di stupido sciovinismo alimentare e (almeno allora) di menzogne spudorate. Della serie: Non Conosciamo Vergogna.
Non mi risulta infatti che la Granarolo abbia mai fatto le sue scuse ai consumatori italiani per aver tradito le sue stesse promesse. E ora ci rifà.
"Solo latte italiano". Ma, facciamo anche finta che sia vero, dove è scritto che il latte italiano è meglio di quello francese o svizzero? Anche quello bavarese, magari non comprato dalla Milchwerk Jaeger, non è proprio niente male.
Ma che volete, l'italiota medio si fida di più del latte e dell'olio d'oliva italiani (anche se quest'ultimo non basta a soddisfare il consumo nazionale e allora bisogna aggiungercene un po' dalla Spagna, dalla Grecia o dalla Tunisia, ma per carità senza dire niente sennò il consumatore storce il naso).
La cosa grottesca è che sono le stesse aziende con la loro pubblicità a creare nel consumatore l'esigenza di un prodotto italiano, pronte poi a tradirla quando il fabbisogno supera la produzione nazionale (o i prezzi giustificano l'impiego di materie prime estere). E tutto questo senza che nessuno dica niente e nessun industriale finisca in galera.
Chiudiamo in bellezza. La Birra Moretti insiste ancora in TV con il suo 100% di malto italiano. Stessa storia. E' meglio il malto italiano di quello polacco? In Italia produttori d'orzo (che una volta germinato diventa malto) ce ne sono parecchi. Siamo sicuri che la qualità (e i prezzi) siano accettabili?
E chi ci garantisce che la Moretti non faccia la furba alla maniera della Granarolo e prenda due volte per il sedere i consumatori mescolando l'odioso malto straniero a quello nobile di provenienza italica?
Ma al consumatore gliene frega niente di bere malto italiano?
Questa patetica autarchia sa tanto di montatura in un Paese che oggi avrebbe voglia (e un gran bisogno) di sputarsi in faccia.
C'è di che aver paura, sia di cosa si mette in tavola che di tutto il resto.
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