sabato 27 agosto 2011

Un appello

Riceviamo e pubblichiamo questo messaggio:


Buongiorno, sono Mussa Ibrahim e sono l'attuale ministro dell’informazione per il Col. Gheddafi.
Parlo la vostra lingua perché guardo da anni la televisione italiana e conosco anche molti italiani incontrati a Malta, dove noi libici andiamo spesso per fare quelle cose che da noi è proibito fare.
Intendiamoci, è giusto proibire ai libici di bere alcolici e di organizzare festini scollacciati come da voi fa il Papy, perché la popolazione è ignorante e non è preparata a gestire questo tipo di divertimento.
Ecco perché noi, i libici della intellighenzia, andiamo a fare le nostre orgette a Malta, oppure in uno dei palazzi del Leader Fraterno quando ci concede benevolmente l’accesso.
Data la precaria situazione politica in Libia, nonostante sia chiaro che il Leader Fraterno e Guida della Rivoluzione riuscirà a trionfare sui vigliacchi traditori che lo hanno attaccato, è da qualche tempo che ho maturato la decisione di cambiare occupazione.Come potete immaginare, operare nell’ambiente della politica internazionale è un lavoro ad alto stress e non mancano i rischi. Mi hanno bombardato casa tre volte e ora ho difficoltà a prendere sonno.Ho quindi pensato di trasferirmi in Italia e cercare una nuova opportunità lavorativa lì da voi.Mi hanno parlato in maniera favorevole della stampa motociclistica e mi hanno suggerito di provare a contattare qualche editore.
Tra le mie competenze c’è l’abilità di raccontare palle incredibili senza uno straccio di prova oppure negare l’evidenza di quello che tutti sanno e possono addirittura vedere in TV. Ho studiato politica in Inghilterra ed è noto come l’ipocrisia sia un’arte che gli inglesi coltivano da secoli.
Credo quindi che, se mi confermate quanto mi è stato suggerito, potrei con successo lavorare come giornalista motociclistico. Io non so andare in moto, ma mi dicono che anche diversi direttori di riviste motociclistiche italiane non abbiano la minima idea di come si fa.Vi prego quindi di darmi qualche contatto. Io ho già pronto il mio CV e anche una lettera di referenze che il Colonnello mi ha addirittura chiesto di scrivere io stesso.
Ora devo solo trovarlo per fargliela firmare e ve la allego.
Cordiali saluti
Mussa

sabato 20 agosto 2011

Pedala, pedala


Sto trascorrendo il mese di Agosto alle porte di Milano (no, non ci sono venuto in vacanza: abito qui) dividendo il mio tempo tra la lettura di libri che ho accumulato in attesa delle ferie e lunghi giri in bicicletta.

La zona a Nord-Ovest della città è intersecata da una fitta rete di piste ciclabili, alcune estremamente ben fatte e quasi tutte mal segnalate. Un vero patrimonio per il turismo “verde” ma scarsamente fruibile per la tradizionale carenza nella segnaletica.

E’ il male italiano: ti mettono tre cartelli a distanza di un chilometro l’uno dall’altro che puntano a una certa destinazione (nel mio caso la riserva naturale di Vanzago), poi niente più. Cambiano i comuni, cambiano le priorità. A quelli di Pregnana magari stanno sulle balle gli abitanti di Vanzago e quindi niente cartello per il bosco di Vanzago.

In una rotatoria condivisa tra bici e auto vedo perfino un cartello che indica il Parco del Ticino, ma è il solo. Non ce ne saranno più altri per chilometri e chilometri. Sembra non tanto un cartello segnaletico quanto un obiettivo esistenziale.
Mi fermo all’ombra di una pianta e tiro fuori il cellulare con il fedele GPS. Grazie ai satelliti ora ho capito dove sono e rimonto in sella alla KTM. Attraverso frazioni e paesini deserti, tapparelle chiuse, marciapiedi vuoti. Nelle aree verdi qualche anziano in canotta e ciabatte cerca l’ombra di una pianta per mettere su un tavolino e giocare a carte.

I parchi giochi sono bruciati dal sole e completamente vuoti. Lungo le statali passo davanti a file di capannoni industriali chiusi per le ferie o chiusi del tutto. C’è una ditta fallita il cui stabilimento è in vendita. Sulla recinzione sventolano nella brezza mattutina le bandiere rosse del sindacato a celebrare un’altra vittoria dell’intransigenza. Sono un po’ sbiadite, chissà da quanti mesi sono lì.

Le ferie estive sembra non abbiano interessato la categoria delle prostitute. Negli angoletti ombreggiati ce ne sono sempre un paio con la seggiolina da mare e la borsa termica con le bevande fresche. Di affari se ne fanno pochi e allora tanto vale passare la giornata a raccontarsi storie. Gli argomenti non mancano di sicuro.

I tratti più belli delle piste sono quelli che abbandonano i tracciati stradali e seguono  piccoli corsi d’acqua, rogge e canali scolmatori. Qui si viaggia spediti e assolutamente soli per lunghi tratti. Ogni tanto si incontra un altro ciclista, più raramente un mezzo agricolo. Spesso la sola compagnia è il gorgogliare dell’acqua o lo scroscio di una cascatella.

Ogni tanto la pista interseca un’autostrada passandoci sotto con una stretta galleria o attraversandola con una passerella sospesa. Solo allora ti rendi conto di quanta gente sia in giro in questi giorni di Agosto, ma le nostre vite si incrociano solo per un secondo o due.

Raggiunto l’altro lato salgo di una marcia e mi getto di nuovo nella campagna con le ruote tassellate della mountain bike che ronzano soddisfatte sull’asfalto della pista.

lunedì 1 agosto 2011

La marcia dei forzati

Sabato 30 Luglio, ore 12:30, devo improvvisamente recarmi nel Ferrarese per una commissione urgente. Non ho proprio voglia di andare, con il caldo che fa e con il traffico che mi aspetto, ma è una cosa che non posso rimandare.

Eccomi alle 13:00 in sella alla FJR1300 pronto alla partenza. Per una sparata quasi tutta in autostrada la FJR è la cavalcatura giusta e anche le gomme Metzeler Sportec M5, nonostante le spalle scalettate da fare paura a soli 4000 km, hanno comunque abbondante battistrada per farmi andare e tornare senza pensieri.

Viaggio strano questo. Oltre 500 km in un pomeriggio: l’andata fatta litigandomi la strada con i turisti in partenza e il ritorno in compagnia di quelli che rientrano a casa. Telecronaca di due esodi autostradali diversi separati da una semplice mezzeria.

Traffico prevedibilmente intenso ma non impossibile, poi c’è sempre la corsia di destra che è quasi sempre libera. Anche l’olandese che traina una roulotte a 90 kmh non ci vuole andare, chissà perché… 
I chilometri volano via e devo solo stare attento ai tutor e fare la gimkana nel traffico. Mi viene in mente il gioco del Tetris mentre mi inserisco tra un grappolo di macchine e un altro lavorando di gas e girando semplicemente il mento nella direzione che desidero.

La Yamaha si mangia il traffico in maniera chirurgica, come un F-16 fra gli Airbus. Il solo rischio è farsi prendere la mano, perché i duecento all’ora sono solo un’impercettibile rotazione della mano destra.

Mentre vado, mi accorgo che le auto più pericolose sono quelle che finiscono con la “s” o anche la “z”: Atos, Terios, Koleos, Matiz, Yaris, Ignis. E’ un delirio di cambi di corsia improvvisi e sorpassi da imbecille. Ti superano, rientrano in corsia e poi rallentano. Oppure dalla corsia di sorpasso si buttano a capofitto in un’area di servizio perché nonna deve pisciare.

Nel tratto a 4 corsie prima di Bologna c’è un improvviso vuoto nel traffico e mi trovo davanti una vecchia Atos che viaggia a 80 in terza corsia. Io sono in corsia di destra a 140 e le sfilo di fianco come un missile cruise. 
Guardo nello specchietto, la Atos è sempre lì che barcolla in direzione sud mentre il grosso del traffico sta per raggiungerla in massa. Sogno la scena di una Range Rover che la tampona a 160 kmh o una carambola tra più monovolume che finiscono tutte con la “s”.

Arrivo a destinazione in due ore e 15 minuti. Il rischio più grosso l’ho corso con un alfista rimbambito dal caldo (finestrino di guida spalancato a 120 all’ora) che entra in sorpasso senza guardare. Una bordata di trombe Nautilus e il vacanziere quasi si infarta sbandando a destra e invadendo la strada di qualcun altro.

Al ritorno, un mega temporale sta per investire Bologna. Mi porto fuori pericolo e non prendo che due gocce sulla visiera del casco. Grazie alle nuvole, ora l’aria è più fresca e il viaggio è meno stancante.

Per il resto è un déja vu dell’andata: macchine stracariche di biciclette montate alla rinfusa (tanto si torna a casa…) che si ostinano a viaggiare nel mezzo della strada, ticinesi dal piede pesante che se ne fottono dei tutor, camperisti che viaggiano a cavallo di due corsie perché così mirano meglio la direzione di marcia.

Dopo poco più di cinque ore dalla partenza sono di nuovo a casa. Andata e ritorno sull’autostrada dei forzati delle vacanze: un’esperienza che mi mancava.