giovedì 15 settembre 2011

Serata dai Gheddafi


Serata tranquilla in casa Gheddafi.

C’è un ospite a cena, un funzionario cinese che per anni ha fatto da ambasciatore-ombra in Libia spianando la strada all’insediamento di numerose aziende del suo Paese e, in tempi recenti, ha anche offerto al regime del Colonnello armi e munizioni in un disperato tentativo di rovesciare le sorti della guerra civile.

Il Colonnello ha l’aria provata, gli ultimi mesi sono stati un calvario di delusioni e sofferenze. I bombardamenti NATO sulla Libia, la defezione di molti suoi collaboratori e consiglieri e anche l’atteggiamento degli europei, primi tra tutti i francesi e gli italiani, che non hanno esitato a puntargli contro le armi.

Per non parlare poi dell’ansietà per la sorte dei figli. Il Colonnello non ha loro notizie da molti giorni.
L’ospite cinese ha portato un omaggio che sapeva molto gradito, una bottiglia di Moutai che è calata ben sotto alla metà durante la serata e rischia di non vedere l’alba.

Il cinese riempie un altro bicchierino con il potente distillato e lo porge al Colonnello, poi beve un sorso dal suo e chiede: “Siamo sicuri che non esista alcuna traccia della nostra offerta di forniture militari? I suoi avversari del Consiglio Transizionale affermano di avere le prove scritte di un’offerta di armi cinesi per 200 milioni di dollari.”

“Assolutamente niente. Tutte le carte sono state distrutte sotto la mia personale supervisione. Quei topi di fogna stanno bluffando.” replica alterato il Colonnello.

E’ chiaro che se la cosa fosse dimostrata – aggiunge il cinese sommessamente – essa sarebbe fonte di grande imbarazzo per Pechino e darebbe l’occasione ai nostri nemici in Libia di tenere fuori la Cina dal nuovo assetto del Paese. Dopo tutti gli investimenti che abbiamo fatto, sarebbe una cosa disastrosa…”

“E cacciarvi fuori dalla Libia era l’obiettivo primario di quei cani degli americani e dei loro alleati! – sbotta Gheddafi alzandosi bruscamente in piedi – la cosa mi era chiara fino dall’inizio.”

Il Colonnello vuota il suo bicchierino di Moutai e si dirige pensieroso verso la porta finestra. “Ma non è ancora detta l’ultima parola, inshallah! La Libia sarà l’inferno dei miei nemici!”.

Alle sue spalle il cinese scuote lentamente la testa ma la sua espressione è imperscrutabile mentre fissa il fondo del bicchiere attraverso il liquido oleoso e trasparente.

Gheddafi scosta le tende dall’ampia vetrata e guarda fisso il moto delle onde che lambiscono la spiaggia.

Il Mar dei Caraibi è calmo e riflette le straordinarie luminosità di un tramonto tropicale.

martedì 13 settembre 2011

To protect and to serve

To protect and to serve.
Chi abbia visto una macchina della polizia americana, dal vivo o nei telefilm, ricorderà questo slogan che compare identico sulle auto di pattuglia in molte città degli USA.

Ben altre frasi vengono in mente quando si ricorre alle forze dell’ordine nel nostro Bel Paese.

Da settimane una banda di ragazzini su motorini da cross smarmittati fa le corse e le frenate con sbandata lungo la strada senza uscita dove abito. Le fa di giorno, le fa di notte. Le fa col casco e senza – e sempre con qualche ragazzina quattordicenne aggrappata dietro che rischia di sfregiarsi le gambe a vita, se le va bene.

Mi piace pensare che la loro incolumità sia di competenza dei rispettivi genitori, a me basta che non mi rompano le balle.

Il primo istinto è scendere in strada con una vecchia mazza da baseball e discuterne amabilmente con loro, ammaccando un braccino o due, se della bisogna.

Ho deciso però di fare le cose in maniera corretta, “senza passare dalla parte del torto”, una bella espressione italica che in realtà vuol dire “prendila nel culo, il sistema è così”.

Rilevo quindi i numeri di targa dei motorini e mi rivolgo ai tutori dell’ordine costituito.

E’ sabato pomeriggio e il comando della polizia locale è chiuso. “In caso di emergenze chiamare il numero XXX”. A cento metri c’è la palazzina dei carabinieri, una villetta a due piani in un paese di villette a due piani. Si distingue perché c’è un bel cartello giallo sulla recinzione che dice “Zona Militare”. 
Già sono di buon umore e la villetta dei Caramba che se la tira da “Area 51” mi fa scompisciare.

Entro nell’antro. Mi viene incontro un graduato dalla volto bucolico. Sembra una comparsa del film “Salvatore Giuliano” e la conferma arriva appena apre bocca.

Gli racconto la questione e la sua prima risposta è. “E io che ci faccio coi numeri di targa? Se [vossia] vuole fare un esposto, nomi e cognomi mi servono.”

“E se mettono sotto qualcuno o si ammazzano contro un palo, è sicuro che non bastano i numeri di targa?” ­­­– obietto io.

“Che vuol dire, se ci scappa il morto le cose cambiano”, è la risposta ufficiale della Benemerita.

“E allora aspettiamo che si ammazzino…” rispondo mentre prendo la via del portone blindato.

“To protect and to serve” da noi vuol dire Proteggersi il Culo e Servire a Niente.

Il giorno che il comando generale dell’Arma deciderà di scrivere qualcosa sulle fiancate delle auto sarà piuttosto qualcosa di sobrio del tipo: “Scaricare e non farsi coinvolgere” oppure “Lasciate proprio perdere”.

Dove avrò messo quella benedetta mazza da baseball?


sabato 10 settembre 2011

Notizie dal mondo

No, all’IKEA no! Un giudice di Karlsruhe ha condannato un uomo che picchiava la moglie, tale Gerhard T., ad accompagnarla cento volte all’IKEA o, come alternativa, a corrisponderle una tantum la somma  di 100.000 Euro. Gerhard ha pagato senza fiatare.

Infarto sulle strisce. Un pedone di Milano, Angelo F., è stato colpito da infarto mentre attraversava le strisce pedonali. L’automobilista che gli ha dato la precedenza l’ha visto spalancare la bocca per la meraviglia e poi accasciarsi in terra senza vita. All’arrivo dell’ambulanza, per Angelo F. non c’era più niente da fare. L’automobilista è stato salvato dalla folla inferocita grazie all’intervento di una Volante. “Assassino, assassino” urlava un capannello di gente. “Se non ti fossi fermato per farlo passare sarebbe ancora vivo”.

Non mi serve a niente. Un’automobilista di Monza, tale Renata C., è finita sul Guinness dei Primati per aver percorso 200.000 chilometri in venti anni senza mai spostare lo specchietto retrovisore esterno destro dalla posizione piegata. Ai giornalisti ha detto di non averlo mai usato perché tanto in quella direzione lì non guarda mai. La procura di Monza ha aperto un fascicolo, ma lo ha subito richiuso perché Renata C. ha 89 anni e un occhio solo, il sinistro.

E' lì il bello! Il ricercatore giapponese Tetìro Shemo ha inventato un minuscolo congegno che può essere impiantato con un intervento ambulatoriale di dieci minuti e che elimina totalmente l’emissione violenta di aria dalla bocca dopo aver bevuto della birra. La nota azienda olandese produttrice di una popolare birra in bottiglia verde gli ha subito offerto dieci milioni di dollari per distruggerne i disegni. “Il rutto – ha spiegato l’ufficio marketing della multinazionale –  è parte integrante ­dell’esperienza di degustazione della birra e non deve sparire.”

La politica è stress. Uno dei figli di Gheddafi (non è chiaro se Saadi, Saif o altro figlio d’arte) ha dichiarato all’emittente radio emiliana Al Ceseera che la Libia ritornerà ben presto sotto il controllo del Leader Fraterno e che ogni screzio tra il vecchio regime e i ribelli del Consiglio Transizionale Nazionale sarà composto amichevolmente. 
Il figlio del colonnello, che ha i gradi di generale e quindi ha fatto più carriera del padre, ha rilasciato la sua dichiarazione da un hotel di Niamey, nello stato confinante del Niger, dove attualmente si trova per motivi di salute. All’intervistatore che gli chiedeva se fosse in realtà fuggito dalla Libia, Gheddafi jr. ha risposto di “essere in Niger per curarsi dallo stress”.


mercoledì 7 settembre 2011

Senza una traccia

Sono le 3 del mattino ad Amburgo e il bar nei pressi della Herbertstrasse sta chiudendo.
La cameriera anziana, una bionda finta sulla sessantina e con il collo segnato dalle tracce di un vecchio lifting, sistema la cassa. I suoi movimenti sono lenti e precisi, imparati e perfezionati in tanti anni spesi a fare lo stesso mestiere. La spilla che porta sulla camicetta ne rivela il nome: Selma.

In sala c’è una nuova cameriera che sta sparecchiando l’ultimo tavolo, dove ancora si attardano quattro marittimi polacchi. Come anni ne ha di sicuro ancora più di Selma, ma evidentemente si è fatta la plastica in tempi recenti e anche i capelli scuri sembrano tinti da poco. Non sembra però molto esperta e i polacchi la prendono in giro. Lei non reagisce e continua a lavorare meccanicamente senza alzare lo sguardo.

Oggi è il suo primo giorno di lavoro e Selma si domanda perché mai l’abbiano assunta qui, in un vecchio bar malandato di St. Pauli che prima o poi chiuderà per diventare un McDonald’s.

Passa un quarto d’ora e le due si incontrano nel bagno del personale. La nuova porta sull’uniforme una spilla con il nome Libby e sembra esitare a cambiarsi d‘abito davanti alla collega. E’ immobile e seminascosta dalla porta dell’armadietto che ha appena aperto.

Selma ride sommessamente. “Non ti preoccupare – le dice – qui nessuno vuole sapere la tua storia.”
“Prendi me – prosegue – sono qui da oltre venti anni. Sono un uomo, mi sono fatto operare e sono scappato dall’Inghilterra dopo che l’ayatollah Khomeini aveva lanciato una condanna a morte su di me per un libro che scrissi nel 1988. Dicevano che fosse un libro blasfemo e denigratore dell’Islam.”

“La sua fatwa è stata prima sospesa e poi, qualche anno fa, il regime iraniano l’ha di nuovo convalidata.
Non volevo correre rischi e così ho continuato a vivere qui e a scrivere di nascosto. 
Questo è il luogo ideale per sparire. Per confondere le acque, c’è anche un imitatore inglese che si finge me partecipando a vari eventi in giro per il mondo ma, una volta tolto il trucco, non lo riconosci più. 
Intendiamoci, questa non è una gran vita ma mi sento abbastanza al sicuro. Al punto che ti ho perfino raccontato la mia storia; da te credo di non avere niente da temere.”

“Già, a proposito – aggiunge – il mio vero nome è Salman. E tu Libby chi sei veramente?”

L’altra donna, che era rimasta silenziosa ad ascoltare, scuote il capo lentamente e, in un tedesco stentato, risponde: “Anche io ho una lunga storia da raccontare. Il mio vero nome è Muammar”.