lunedì 13 dicembre 2010

Buona strada, David


Il mio amico David è morto.
Ci siamo visti ogni anno per almeno 5 anni in occasione delle mie tradizionali vacanze estive in America, ma da due anni i nostri contatti si erano rarefatti. Sapevo da tempo che le cose non gli andavano bene, che non era contento del lavoro e del fatto che guadagnava poco. C'era anche una vecchia storia tra lui e la bottiglia, ma sembrava che ne fosse uscito.

David faceva lo chef ed era anche uno bravo. Il suo problema era che non sapeva farsi valere. Appena faceva un po' di carriera, la gestione dei collaboratori e delle responsabilità non gli riusciva e, dopo qualche tempo di risultati deludenti, veniva licenziato.
Questa volta sembrava quella buona. Dopo vari anni di lavoro poco qualificato e mal pagato, si era trasferito dal North Carolina in un altro stato per assumere la responsabilità di un' intera struttura ricettiva.

Pareva proprio che le cose avessero preso a girare per il verso giusto dopo anni di vacche magre. David non era un appassionato motociclista come il mio giro di amici di Raleigh, ma era di certo rimasto contagiato dal cameratismo e dallo spirito indipendente di chi gira su due ruote. Si era comprato una Harley 883 e aveva iniziato a prendere gusto alle uscite in moto: il baccano, le vibrazioni e l'aria in faccia su quelle strade senza fine dell'Heartland americano.

Poi, a sorpresa, l'ennesima delusione. L'avevano lasciato a casa ancora una volta.

L'ho sentito al telefono qualche settimana fa in occasione del suo compleanno. Non era più lui, la voce era spenta e del tutto priva di vitalità.

Qualche giorno fa mi è arrivata la notizia. David l'ha fatta finita. Ha sistemato tutte le sue cose, ha regolarizzato tutte le sue carte per non lasciare niente in sospeso, poi si è tolto la vita.

Con lui se n'è andato un bravo diavolo, uno spirito mite e tranquillo. Non l'ho mai capito fino in fondo e ora non capisco il suo gesto. Spero solo che abbia trovato quello che cercava.

mercoledì 8 dicembre 2010

Il teatrino dei burattini

Venghino siori, venghino. Questo è il paese dei burattini dalle facce di legno. Sorrisi intagliati, capelli verniciati, i fili che si vedono benissimo. Ognuno recita la sua parte, prevedibile e scontata, e i bambini battono le mani.

Le aziende hanno il Codice Etico, tutti parlano di trasparenza ma intanto si cerca di mettere il bavaglio ai (pochi) giornalisti investigativi e il reato d'opinione c'è qui come in Iran. 

Ma questo poliedrico paese è anche una casa da gioco: vince sempre il banco e lo svantaggio del giocatore è totale.

A confronto con l'Italia, le case da gioco del Nevada fanno beneficenza. Qui il sistema parla con lingua arcigna per non farsi capire e non ammette domande. Lei non si preoccupi, lei stia al suo posto. Già lo sai all'ingresso che stai per essere spennato. Come quando vai al ristorante e fuori c'è scritto Hostaria (non Osteria). Lasciate ogni speranza voi che entrate. Vi prenderete una trombata da parlare da soli per un mese.

Vi è mai arrivata una "cartella pazza" che vi intima di pagare quello che avete già pagato (o non vi compete)? 

In questi casi, l'ente esattore vi avverte di prendervela con l'ente creditore se ritenete di non dover pagare, ma lui continua a spararvi solleciti e intimazioni mentre da parte sua l'ente creditore non vi risponde. È il classico Comma 22 accuratamente studiato a favore del sistema, né più né meno come le roulette a Montecarlo. 

Il cittadino viaggia in un vagone impazzito: continua a tirare la maniglia dell'allarme ma non succede niente.

Welcome to Italy. L'unico Paese del Terzo Mondo che è anche nel G8. L'unico Paese del Terzo Mondo che dai Paesi europei (quelli veri) si raggiunge comodamente in auto con il gommone o la roulotte al traino.

Abbiamo il garante della privacy, però se cambi casa la Rai ti rintraccia sempre per esigere il suo osceno balzello. Abbiamo l'istituto che vigila sulle tariffe assicurative, ma intanto i "vigilati" fanno quello che gli pare. Ritoccano, modificano, ignorano e guadagnano 50 milioni di Euro in più. Poi si beccano una multa da 1 milione e così ne hanno solo guadagnati 49. Poveri cristi.

Abbiamo la class action, l'azione legale collettiva sul modello USA. Peccato che sia stata snaturata ed evirata completamente producendo una farsa completa. Il procedimento è macchinoso al punto tale da scoraggiare gran parte dei ricorrenti. Missione compiuta. 

Paghiamo uno stipendio al garante della concorrenza ma continuiamo a subire gli aumenti incontrollati della benzina. Le moto in autostrada pagano come una Mercedes Classe S. Sto pensando di comprarmi una Classe S, almeno se piove non mi bagno e se mi trovo davanti una moto gli faccio il pelo e me la rido.

Questo è l'unico Paese sovrano tenuto in ostaggio dal Vaticano. In secoli e secoli di ingerenze dei preti, il papa ce lo siamo tolto dai piedi per solo 59 anni (1870-1929) e poi la pacchia è finita. E non c'è scandalo che tenga, l'italiano ci tiene alla vita eterna e finché i preti gliela fanno dondolare davanti come una carota, un po' di pedofilia è ancora disposto a consentirgliela.

Questo sarà pure un Paese da visitare, se proprio non trovate di meglio, ma è diventato un Paese dove non si può vivere.

lunedì 29 novembre 2010

Pensieri di cane


Spesso mentre mia moglie ed io siamo a tavola. il nostro cane Samantha (per gli amici Sam) salta su una sedia vuota, si siede con una certa eleganza  e ci guarda fissi negli occhi.

Non ho dubbi che la sua unica intenzione sia sorvegliare i piatti in tavola nella speranza di rimediare qualcosa di buono, la roba sfiziosa che mangiano gli umani, sapete, non i soliti croccantini.

Eppure ci sono delle volte che, avendola seduta di fronte a me, vedo quegli occhi senza fondo che mi fissano intensi e mi domando che cosa stia pensando.
Ma i cani pensano? E se pensano, la domanda veramente importante è a che cosa pensano?

Preoccupazioni non ne hanno e ogni giorno è un nuovo inizio: un nuovo periodo di tempo che va vissuto sulla base dell'istinto, dei ricordi accumulati e con l'aiuto di udito, odorato e vista ma che, in sostanza, è un nuovo giro di giostra scandito solo dagli appuntamenti alimentari e dai bisogni fisiologici.

Come tutti gli animali, il cane è una macchina programmata per sopravvivere. I suoi bisogni sono essenziali e non ci sono tentennamenti né incertezze. A volte però sento Sam emettere dei sospiri profondi e, nella mia fissazione di umanizzarla ad ogni costo, la immagino sconsolata, in ansia per il suo futuro.

A volte Sam sogna. All'improvviso, nel mezzo di un sonno profondo, comincia ad agitarsi, a scalciare. Poi si tranquillizza e riprende a dormire.

Che cosa sognano i cani? Voglio dire, che cosa sognano a parte delle fonti inesauribili di roba da mangiare?

Che cosa può creare loro degli incubi? Sarà il pensiero di aprire gli occhi e non trovarsi più in una casa riscaldata e piena di posti dove dormire? Il pensiero di avere all'improvviso dei padroni più severi di noi? Il ricordo di un enorme cane assassino che li ha spaventati?

Ho appena letto che le persone con quozienti intellettivi più alti sognano di più degli altri. Potrei desumerne che Sam è un cane molto intelligente (più di me di sicuro, visto che sogno veramente poco).  

Oppure la cosa non vale per i cani? Mi sembrerebbe una vigliaccata. Come la storia che noi abbiamo l'anima e loro no.

Ma ci stiamo allontanando dalla domanda di partenza: ma allora, i cani pensano?

Come fare a scoprirlo? Non so neanche se i ministri pensano (a giudicare dai fatti si direbbe in realtà che non gli riesca), figuratevi se mi riesce di dimostrare che i cani ne sono capaci.

Sarebbe un bel colpo però e credo che a Sam farebbe molto piacere essere considerata un'intellettuale.

domenica 7 novembre 2010

Un po' di luce

Una coppia di amici americani, lui e lei, sono venuti a passare qualche giorno in Italia. Peccato che il maltempo abbia loro mostrato un paesaggio piuttosto britannico, nuvole basse e acqua in continuazione.

L'altro giorno, però, il cielo si è aperto e la coppia è partita alla volta delle Cinque Terre con un'auto a noleggio. Ho prestato loro il mio GPS e gli ho dato un paio di dritte su come spostarsi tra i vari paesini a picco sul mare.

Tre ore dopo averli visti partire da Milano mi squilla il cellulare. Vedo il numero americano e immagino che siano giusto arrivati a destinazione.

Macché. È il mio amico che mi segnala un problema. Hanno sbagliato a svoltare e sono finiti su una strada campestre dove si sono prontamente impantanati. Si trovano su qualche collina coltivata a terrazze in Liguria e non sanno come uscirne fuori.

Il mio amico mi passa al telefono un contadino che è appena arrivato sul posto. Questo signore mi spiega che è impensabile chiamare un carro attrezzi, ma mi dice che farà il possibile per far arrivare sul posto un trattore.

Per due ore non sento più i miei amici e mi domando come sia andata a finire.

Poi mi arriva una loro telefonata dall'albergo, dove sono finalmente arrivati e si stanno concedendo un bicchiere di vino.

In attesa del trattore, alcuni contadini hanno provato a spingere la macchina ma senza successo. Uno di loro, il più giovane, parlava perfino un po' di inglese. Poi è arrivato il trattore e in pochi minuti ha riportato in strada l'auto impantanata.
Quando il mio amico ha provato a mettere in mano al contadino 50 Euro, questo ha fatto un salto indietro e ha recisamente rifiutato di prendere un soldo.

È solo la piccola storia di un gesto generoso, ma di questi tempi cupi fa un bel po' di luce.

domenica 10 ottobre 2010

Sardegna Settembre 2010



Come tutti i viaggi nati d'impulso, questo giro della Sardegna progettato solo tre giorni prima di partire è andato a gonfie vele. Nonostante il resto dell'Italia fosse spazzato dal cattivo tempo, siamo arrivati a Porto Torres mentre il maltempo lasciava l'isola.

Temperature miti ma mai troppo alte, strade semideserte, sole costante e soltanto la presenza di qualche nuvola innocua a dare più personalità alle foto.

E poi, la Sardegna. Terra ostica e piena di contraddizioni, ma sempre ricca di angoli spettacolari e di curve come solo un motociclista le può sognare.

L'estate è definitivamente finita ma fare progetti per il prossimo anno appare ancora prematuro. Vuol dire che queste immagini del viaggio appena concluso mi dovranno bastare per un po'.

giovedì 7 ottobre 2010

L'amico del motociclista

Oggi, mentre lavoravo in Fiera a Milano, sono passato davanti allo stand del WD-40, dove una gentile signora mi ha fatto omaggio di una mini bomboletta del celebre prodotto che sembra fatta apposta da portare in viaggio.

Qui sul blog non facciamo pubblicità a pagamento, ma parlare di un prodotto a titolo gratuito non ce lo vieta nessuno; il WD-40 se lo merita, perché è legato a filo doppio al mondo delle moto.

Un modo di dire americano recita così: Ci sono due cose da portare sempre appresso in moto: il WD-40 e il duct tape (il classico nastro adesivo telato color argento). Se qualche parte della moto non si muove e invece dovrebbe, usa il WD-40. Se invece qualche parte si muove e non dovrebbe, usa il nastro.

Il WD-40 è stato inventato nel 1953 per l'industria aerospaziale come antiruggine, detergente, sgrassatore, antiumidità e lubrificante (WD= water displacement e "40" è la formulazione definitiva dopo 39 tentativi precedenti). Il WD-40 ha una formula segreta e contiene, tra l'altro, anche olio di pesce anche se dall'odore non si direbbe.

Ma ci sono decine e decine di altri impieghi per il WD-40 (alcuni veramente impensabili):

1.   Protegge l'argento dall'ossidazione
2.   Toglie il catrame da auto e moto
3.   Pulisce e lubrifica le corde delle chitarre
4.   Lucida i pavimenti ma non è sdrucciolevole
5.   Tiene lontane le mosche.
6.   Rinnova e pulisce le lavagne.
7.   Toglie macchie di rossetto.
8.   Libera le chiusure lampo bloccate.
9.   Libera le catenine aggrovigliate.
10. Toglie gli aloni d'acqua dai lavelli in inox.
11. Pulisce le griglie dei barbecue dal grasso e dallo sporco.
12. Evita l'ossidazione dei vasi in terracotta.
13. Toglie le macchie di pomodoro dai vestiti.
14. Previene gli aloni lasciati dall'acqua sulle antine della doccia (plastica o vetro che siano)
15. Nasconde i graffi su pavimenti in ceramica o marmo.
16. Mantiene in efficienza le forbici.
17. Lubrifica cerniere e cardini delle porte di casa e in auto.
18. Elimina i segni neri lasciati sul pavimento dalle suole in gomma.
19. Rimuove gli insetti dalla vernice dell'auto.
20. Lubrifica e lucida gli scivoli dei parchi giochi.
21. Lubrifica tutte le parti mobili delle tagliaerba.
22. Lubrifica le guide di porte, finestre e lucernari scorrevoli.
23. Spruzzatelo sull'asta dell'ombrello per proteggere e lubrificare.
24. Ristora e pulisce plastiche e finta pelle nell'interno auto, oltre ai paracolpi in fibra all'esterno.
25. Pulisce e protegge i portabagagli fissi o amovibili.
26. Elimina rumori e cigolii da ventilatori elettrici.
27. Lubrifica cavi, tiranti, catena, rocchetti e corone sulle bici.
28. Lubrifica cinghie di trasmissione degli elettrodomestici.
29. Tiene lontana la ruggine dalle lame di attrezzi, seghe, taglierine ecc.
30. Toglie gli schizzi vicino ai fornelli di cucina.
31. Evita l'appannamento degli specchi del bagno.
32. Tiene lontani i piccioni, che non ne amano l'odore.
33. Rimuove ogni residuo di nastro adesivo.
34. C'è chi se lo spruzza su mani e ginocchia per alleviare i dolori reumatici.
35. Spruzzato in moderazione sulle esche, aiuta i pescatori perchè attrae i pesci.
36. Allevia il prurito e elimina il dolore delle punture di formiche rosse.
37. Toglie dai muri di casa le scritte fatte dai bambini con i pastelli.
38. Si usa su tutte le parti elettriche dei motori per proteggerle e allontanare la condensa.
39. Se vi scottate con una marmitta, spruzzate subito del WD-40 sulla pelle.

giovedì 23 settembre 2010

La vecia


C'è una vecchia che gira spesso sulla Tangenziale Ovest di Milano che dovrebbe dipingere sullo sportello di guida le sagome di tutte le auto, moto e camion che ha fatto fuori.

La sua macchina è una di quelle carrette asiatiche corte, strette e alte che sembrano uscite dalla giostra di un Luna Park.

Lei guida con sedile tutto avanti, occhi semichiusi, mascella pendula e braccia aggrappate al volante.
Ricordate la posizione delle mani consigliata (come le lancette sulle 10:10) che assicura il migliore controllo del mezzo in ogni situazione?
Proseguendo nella metafora dell'orologio, la vecchia stringe il volante con ambo le mani in posizione ore 12:00 e lo muove freneticamente di qua e di là anche in rettilineo. 

La sua minimacchina dalle ruote baby si sposta da un lato all'altro della corsia (quella centrale, che ve lo dico a fare?) e ogni tanto straborda a destra o a sinistra in quelle confinanti, il tutto alla pazzesca velocità di 80.

Un TIR slovacco in corsia di destra se la vede sbandare davanti e si attacca alle trombe. Braaaaaam.

Ma la vecchia non lo sente e rimbalza a sinistra come proiettata da una rete di ping-pong invisibile. Probabilmente lo spostamento d'aria dell'autoarticolato Scania l'ha riportata in corsia, o forse è stata un'altra delle continue strappate che lei dà al volante.

Arriva in corsia di sorpasso una coppia di motociclisti su BMW 1200 GS, luci accese, tute sgargianti dal catalogo Motorrad e valigie in alluminio che lampeggiano al sole. La vecchia non li vede; forse li vedrebbe se il retrovisore esterno sinistro della carretta coreana fosse aperto, ma invece è piegato contro la fiancata della macchina.

In quel preciso istante, la vecchia scarroccia nella corsia di sorpasso e manca per un pelo la valigia destra della moto. Il pilota capisce che frenare non ha senso, si butta a sinistra e spalanca il gas mentre schiaccia il pulsante del clacson.

La passeggera si gira verso la vecchia e le mostra il dito medio guantato, ma tanto la vecchia non la vede.

Fra trecento metri la Tangenziale descrive un'ampia curva a sinistra e l'ottuagenaria minaccia su ruote sta impostando la sua traiettoria ideale. La microauto si sposta a destra e il motore fa una fumata blu mentre la guidatrice scala assurdamente una marcia, poi in prossimità della curva si butta tutta a sinistra rasentando il guardrail esterno.

Dietro di lei è il panico. In corsia di sorpasso si innesca un tamponamento a catena che chiuderà la Tangenziale per due ore. Al centro si evita per miracolo una catastrofe, mentre nella corsia di destra uno scooterista in calzoncini sceglie di piantarsi di fianco nel guardrail piuttosto che tamponare il pullman che ha inchiodato i freni davanti a lui.

Intanto la vecchia, ignara della catastrofe che ha provocato, prosegue su una rotta a "S" in mezzo alla Tangenziale deserta. 

È assicurata in Classe 1 da venti anni perché non fa incidenti. Secondo le statistiche è una guidatrice sicura, anzi "Sapiens".

giovedì 16 settembre 2010

Il fascino dell'uniforme


Storia vera di questa mattina.

Sto portando a spasso i cani in un prato che costeggia una bretella di collegamento rapido con la Tangenziale Ovest di Milano. Al di là del guardrail vedo una scena strana: una custom Yamaha ferma sul cavalletto laterale ma senza il pilota. Guardo avanti, verso il semaforo cittadino dal quale parte questa bretella e vedo sul lato della strada un'ambulanza e un'auto della Stradale ferme con i lampeggiatori in funzione.

Sul bordo della strada c'è anche una Triumph Bonneville, anch'essa sul cavalletto e con un casco agganciato al manubrio. Penso a un malore di uno dei due piloti; da quanto vedo mi sembra di poter escludere un incidente.

Mi avvicino con i cani al guinzaglio seguendo un sentierino nell'erba a fianco della strada. Ora vedo anche un motorino con il parabrezza rotto e delle plastiche in terra. Comincio a immaginarmi una scena in cui il motorino passa col rosso, la seconda moto lo urta mentre la prima prosegue per ancora cento metri prima di accorgersi del fatto.

C'è una volontaria dell'ambulanza in tuta arancio che fuma una sigaretta al riparo del mezzo. Le chiedo se c'è stato un incidente di moto. Mi risponde con aria importante: "Non posso dirglielo".
Segreto di stato? Di sicuro non è deragliato un treno e la scena quasi si racconta da sé, ma il non posso dirglielo è un piccolo e prezioso momento di autorità da gustare tutto, un piccolo segnale che noi e voi non siamo la stessa cosa.

Mi sposto avanti di ancora due passi e nell'ambulanza vedo due persone, un uomo e una donna. Sembrano incolumi o quasi e stanno parlando tra loro in maniera rilassata. Lei indossa un collarino e forse si è fatta male a un piede.
Ho deciso di chiedere loro se gli serve una mano per mettere al sicuro le moto mentre vengono portati in ospedale. 

Si avvicina però il poliziotto, uno sulla trentina con la faccia da saccente e gli occhiali firmati (la nuova Polizia Stradale) e mi chiede: "E lei chi è? Qui non può venire", indicando perentoriamente il "suo" lato del guardrail.

Chi potrò mai essere? Ho i pantaloni corti, T-Shirt, berrettino della Yamaha e due cani al guinzaglio. Sarò un investigatore privato? Un broker assicurativo? Un paparazzo? Le Nuove Brigate Rosse?

Rispondo che sono un passante e non ho la minima intenzione di scavalcare il guardrail.

In quell'istante arriva un carro attrezzi per caricare le moto. La mia idea di aiutare i motociclisti si rivela superata in quel preciso momento.

Inverto la marcia e me ne ritorno nel prato a giocare con i cani.

Ho incontrato l'Italia in uniforme. L'ignoranza ridipinta nei colori ufficiali, la rivalsa sociale dei cafoni.

lunedì 13 settembre 2010

Schadenfreude

No, non è una variante del dolce della Foresta Nera e nemmeno un sinonimo della torta Sacher in qualche vallata austriaca. È una sintetica espressione tedesca che vuol dire "rallegrarsi per le sciagure altrui".
Tutti noi, prima o poi, ci siamo fatti sedurre dalla sua attrazione fatale e non dite che a voi non è mai successo.
Ci sono dei casi in cui farsi due grasse risate per il guaio in cui si è cacciato qualcun altro è cosa buona e giusta. Leggete questi esempi e concorderete che a volte la Schadenfreude ci sta, e come ci sta!

Camilla V. inerpicata lassù nel sedile del guidatore della sua BMW X5 sta facendo multitasking al volante come solo una donna sa fare. È uscita dalla palestra, dove il personal trainer l'ha sottoposta a una gagliarda seduta tonificante per glutei e addominali, ed ha un appuntamento dalla parrucchiera tra poco più di un'ora. Visto che ha tempo, ha deciso di fare una puntatina al centro commerciale per vedere due vetrine.

Mentre si toglie dalla fronte i capelli ancora bagnati della recente doccia, si attacca al cellulare per accertarsi che, tra le mura domestiche, la ragazza alla pari abbia la situazione sotto controllo. 

Ecco che, in fondo al rettilineo, si vede già la grande "P" del parcheggio sotterraneo dell'Iper. Camilla richiude il Motorola e lo lascia cadere in un vano nella console dell'auto mentre pesta sul gas per bruciare gli ultimi duecento metri.

Il grosso SUV tira su il muso mentre il cambio automatico scala una marcia e manda il contagiri in zona rossa. Camilla svolta a destra e imbocca la rampa del garage sotterraneo con uno stridio di gomme che fa girare i passanti. La BMW X5 si lancia in discesa come un grosso squalo metallico e la "baretta" portabagagli che Camilla ha dimenticato di avere ancora sul tetto si frantuma esplodendo al contatto con la prima trave in cemento del soffitto. Con lei, anche le barre satinate del tetto vengono estirpate in un millisecondo e l'intera parte superiore dell'auto si accartoccia.

Diecimila Euro spesi senza aver nemmeno varcato la porta di una boutique.

Eros C. e quattro amici escono traballanti dalla discoteca Mando-Vai nel cuore pulsante della Riviera dopo una serata deludente dal punto di vista delle conquiste femminili. In compenso, il conto finale delle consumazioni è da impallidire. Eros vorrebbe piantare una grana ma il buttafuori scuote lentamente la testa e i cinque escono con la coda fra le gambe. Nel parcheggio, in una nuvola di falene e zanzare,  li attende la Seat Leon taroccata di Eros.
I cinque prendono posto e il guidatore accende il megastereo mettendo a manetta il celebre brano Apoka-Lips dei Patetika, che si può dire è l'inno del gruppetto. Con i finestrini che vibrano per i bassi e il motore che urla in fuori giri, la Seat si lancia lungo i viali della periferia per raggiungere il mare, dove Eros conta di farsi l'ultima Ceres della nottata.

Ed è proprio mentre la Seat tocca i 130 kmh che Eros non vede la gobba rallentatrice in mezzo alla strada e ci pianta dentro la Leon ribassata come un kamikaze nella portaerei Yorktown. Il motore si spacca come una noce e salta fuori dai supporti, rovesciando olio in strada e storcendo la scocca dell'auto. Sul tetto, tre bitorzoli affiancati testimoniano le tre capocciate date all'unisono dagli occupanti del sedile posteriore.

La Seat termina la sua corsa duecento metri più avanti in una nuvola di fumo. I cinque occupanti si guardano negli occhi e non hanno ancora capito che cosa sia successo.

Il noto architetto italo austriaco E. Moccia-Rotterkatz di anni 68 sta visitando gli Appennini in cerca di ispirazione. Al volante della sua Mercedes Classe S  V12 si sta inerpicando sui tornanti verso il paesino medievale di Nerchiate sul Groppone. Dietro l'ultima curva gli appare la porta monumentale del paese costruita nel XIV secolo e deturpata da un cartello che indica di dare la precedenza al traffico che viene in direzione contraria.

L'architetto intravede la sagoma blu della corriera che arriva ma decide di forzare la mano. L'auto balza in avanti e si lancia attraverso la massiccia porta in pietra. Anche la corriera ha puntato verso la porta del paese e, per evitare la Mercedes, struscia l'intero lato destro contro il muraglione secolare.
A sua volta, E. Moccia-Rotterkatz si incastra tra la corriera e l'altro lato della porta del paese.

È un disastro. Auto e corriera sono immobilizzate nella porta come un tappo di sughero nel collo di una bottiglia di vino. Solo gli occupanti della corriera, fortunatamente incolumi, riescono a uscire dalla porta posteriore.

Ai pompieri serviranno cinque ore e una motosega a ferro per fare a pezzi l'auto e liberare il passeggero. L'architetto, che soffre di incontinenza, non trova altra soluzione e dopo tre ore si vede costretto a fare i suoi bisogni all'interno dell'auto.

E adesso non dite che non avete riso anche voi...

venerdì 10 settembre 2010

Ognuno ha la stampa che merita

Corso di Motogiornalismo Web

con la partecipazione straordinaria dello staff di Motoblog.it


Questo corso gratuito di Motogiornalismo Web ha l'obiettivo di formare le nuove leve di redattori in un settore trainante come quello delle due ruote. Il corso si terrà in una sola lezione. Questa.

Ecco come si scrive un  articolo tipo. Ne basta uno per tutta la vostra carriera.
Inserite i dati a seconda dell'argomento/sponsor/benefattore di turno ricordandovi di cambiarli ogni tanto.

TITOLO: il titolo dovrà essere iperspiritoso, iperpositivo e contenere il nome dell'argomento/sponsor/benefattore di turno e almeno un luogo comune.

Esempio:  Eccezionali e prestigiose novità 2011 nel cassetto di Yamazuki.

SOTTOTITOLO: il sottotitolo dovrà spiegare in una riga o due la marchetta che avete già fatto con il titolo.

Esempio: La prestigiosa casa giapponese ha presentato la sua innovativa gamma di modelli per il prossimo anno certa di soddisfare le aspettative di milioni di appassionati.

TESTO: Il testo non conta. Dopo le prime quattro righe si sarà già capito che ve lo hanno passato da qualche ufficio stampa  e lo avete pubblicato tale e quale utilizzando l'antica arte  del giornalista, che un tempo si chiamava "forbici e colla" e oggi, nel Terzo Millennio, si chiama Ctrl+C, Ctrl+V.
Se invece il testo contiene grossolane imprecisioni e errori di ortografia è farina del vostro sacco perché siete un professionista serio che i testi se li scrive da sé. Anche i professionisti seri, però, devono campare e quindi la componente testo deve rispondere ad alcune regole.

Contenuti obbligatori del testo sono delle frasi precotte che i lettori (ma sopratutto lo sponsor pagante) si aspettano da voi. Dovete inserire almeno la metà  delle espressioni seguenti:
Mitico, fiore all'occhiello, prestigioso, Made in Italy, firmato dalla penna di, serie limitata, accattivante, prezzo interessante, linee filanti, ciclistica d'eccezione, motore generoso, componentistica di qualità, design di eccellenza, che il mondo ci invidia, esuberante, grintoso, entusiasmante, giusto compromesso, accoppiata vincente, gioco di prestigio, ha tirato fuori dal cilindro, oggetto di culto, ha superato sé stessa, conferenza stampa blindata, ghiotte anticipazioni, esclusivo sistema di frenata, sbaragliata la concorrenza, guidabilissima, potenza mostruosa ma docile da gestire, comoda come una poltrona, 275 kmh sulle autostrade tedesche, 190 CV di pura libidine, domani ho la rata del mutuo.
Il vero giornalista riuscirà a inserire più della metà di questi termini ed espressioni in un solo articolo.
Volete far carriera subito? Metteteceli tutti in blocco senza toccare niente! Nessuno se ne accorgerà.

PS:Fate attenzione che ci sia la giusta punteggiatura sennò i periodi diventano illeggibili.

mercoledì 1 settembre 2010

Fenomeni d'estate


Ho passato il mese di Agosto a lavorare. C'è in giro una crisi tremenda (c'è bisogno che ve lo dica?) e quindi bisogna prendere al volo tutto il lavoro che capita.

Ogni tanto però mi sono concesso un'uscitina con la moto, purtroppo limitata a percorsi autostradali o simili.

E così ho rinfrescato la mia conoscenza di due fenomeni ben distinti e parecchio frequenti.

Fenomeno N. 1

L'imbecille che viaggia a 90 nella corsia di mezzo. Spesso è una Yaris o Matiz guidata dal poggiatesta (il guidatore neanche si vede e comunque il poggiatesta è più competente), oppure è una familiare con tanto di "baretta" sul tetto, carica fino a scoppiare e piena di bambini abbrutiti che sbavano sui vetri, una specie di acquario di mostruosi pesci abissali.

C'è poi anche la variante camper. In cabina lei e lui, tre infarti e due bypass complessivi, che sfumazzano in mezzo alla strada senza nemmeno riuscire a tenere la catapecchia di plastica in una sola corsia. Mentre li supero scorgo le espressioni allucinate di una coppia che è distante solo 40 km da Milano e già non si parla più (magari però sono partiti da Roma e hanno cominciato a litigare a Firenze).

Lui è aggrappato al volante in canotta e berrettino da ciclista, mi vede sfilare via sulla corsia di destra e non fa in tempo a sbandare verso di me e a tagliarmi la strada "per caso". Lei gli dice qualcosa, forse: "Guarda dove vai, stronzo". 
Mi sembra di averli già visti. Poi mi rendo conto che in giro ce ne sono migliaia tutti uguali.

Fenomeno N. 2

Autostrada a 2 corsie, arrivo in sorpasso allegrotto (130 km/h esatti) in coda a uno stordito che ha da poco superato un'auto ma è rimasto nella corsia di sinistra. La prossima auto è distante 400 metri e lui viaggia a 110. Mi vede arrivare nello specchietto (che belle le luci allo xeno!) e con fare stitico si sposta di 150 cm a destra, lasciando libera metà della corsia di sorpasso. Evidentemente per un'Audi A3 rientrare completamente nella corsia di marcia normale è una manovra difficile.

O forse non vuole perdere la sua "priorità di sorpasso" immaginaria. Ma quale priorità? Dietro di me non arriva nessuno.

Forse il problema sta nel lasciar passare qualcuno. A una moto, mezza corsia si può anche concedere, tanto la moto non è nella stessa categoria e spostarsi non conta come un gesto civile.

Secondo Sigmund Freud, che oltre a essere un celebre psicoanalista era anche un appassionato motociclista, qui si tratta di una sindrome che risale addirittura all'attimo del concepimento di quel particolare individuo.

Nel corso del fatidico amplesso, sua madre non si è nemmeno sfilata le mutande, le ha solo scansate. È una situazione chiamata "coitus distraforus" e ha, evidentemente, pesanti ripercussioni sulla psiche.

Questo grave trauma ha seguito il bambino a livello latente per tutta l'infanzia e la fanciullezza e ora, in età adulta, si manifesta con un comportamento analogo mentre lui è al volante.

E pensare che se la madre quelle sante mutande le avesse lasciate al loro posto, avremmo un coglione in meno sulla strada.

giovedì 26 agosto 2010

Esculapio Travel

Sta prendendo piede anche da noi la formula del turismo medico, un sistema per viaggiare e farsi operare spendendo molto meno all'estero di quanto lo stesso intervento non costerebbe in Italia.

Ecco che l'italiano si imbarca per la Tunisia, la Polonia o la Thailandia e ritorna felice con una nuova e smagliante dentatura di porcellana, un fegato seminuovo o le rughe spianate. E magari trova anche il tempo di scattare due foto dalla finestra della camera d'ospedale.

Certamente, non tutto fila sempre liscio. Chi va a Taiwan per un trapianto di organi è bene che faccia un corso di "full immersion" non di English ma di Chinglish. È anche consigliato discutere approfonditamente con i medici la portata dell'operazione e assicurarsi di avere ben chiarito quale trapianto si desideri.

Meglio portarsi uno di quei giocattoli smontabili che raffigurano un corpo umano e concordare con i sanitari che si desidera il trapianto di A5, valvola cardiaca, e non di P3, testicolo destro, prendendo materialmente fra le dita l'oggetto in plastica a accertandosi che il chirurgo abbia capito.

Anni fa, i pionieri del turismo medico andavano incontro a grossi rischi appunto perché si trattava di una novità e nessuno, né i pazienti né i sanitari, erano molto esperti nel comunicare con gente di cultura diversa.

Oggi è tutto più semplice e sono certo che, come al ristorante cinese, anche negli ospedali che operano nel settore del turismo medico ci siano menu plurilingue che per sicurezza recano un bel numero e una foto a fianco di ogni voce, tanto per essere doppiamente sicuri.

Massima precisione quindi e anche un servizio clienti di prima categoria. Il cliente ha sempre ragione, specialmente quando sborsa decine di migliaia di Euro per qualche pezzo di ricambio (o addirittura parti del corpo che prima non aveva).

Un tizio di mia conoscenza, un tale Marco, dopo anni di sofferenza interiore, ha deciso di seguire le sue pulsioni ed è partito per l'Oriente per cambiare sesso.
È ritornato come Marcella, bionda, curve non indifferenti e (visto che c'era) anche dentatura perfetta.

Dopo qualche mese, l'entusiasmo della novità si è smorzato e (complici anche un paio di storie sfortunate), Marcella ha deciso che essere donna dopotutto non era quello che si aspettava. Ha preso contatto con l'ospedale e richiesto, in base alle condizioni del contratto, di ritornare Marco.

In Italia, tuttavia, è rientrata come Gaetano, visto che i suoi pezzi originali erano stati nel frattempo destinati ad altri.

venerdì 20 agosto 2010

Milwaukee addio

Dopo 107 anni di onorata cittadinanza a Milwaukee, Harley Davidson sta seriamente considerando la possibilità di spostare la produzione altrove. Sono al vaglio diverse possibilità di ricollocarsi in vari stati USA ma c'è anche chi parla di lasciare gli Stati Uniti.

Le ragioni sono le stesse che assillano tutti i fabbricanti di moto e sono legate alla riduzione dei costi.
A detta dei suoi responsabili, l'andamento delle vendite di HD sarebbe fortemente stagionale e la produzione dovrebbe avere la flessibilità di ridurre e aumentare la forza lavoro di conseguenza. I sindacati invece non sembrano disposti a negoziare e la trattativa con le principali sigle presenti in fabbrica va avanti da oltre un mese senza particolari speranze di successo.

I posti di lavoro legati alla produzione sono circa 1.630 e, nel caso di uno spostamento della fabbrica, andrebbero gradualmente ad essere eliminati. A Milwaukee rimarrebbe solo la direzione generale della Harley. In assenza di soluzioni all'italiana (chi può dimenticare i 7 anni di ammortizzatori sociali per i licenziati Alitalia?), il giorno che la produzione chiuderà, gli operai HD e i loro sindacalisti se ne resteranno a casa. Punto.

E' naturale quindi domandarsi quanto sia realistica (e lungimirante) la posizione irremovibile dei sindacati, che sembrano decisi a difendere uno status quo ma incapaci di prevedere per quanto tempo questo possa reggere. Trovare un accordo sulla flessibilità e salvare 1.630 posti di lavoro o tenere duro e perderli tutti fra un anno?
C'è chi considera le voci legate allo spostamento come una pura mossa tattica per sbloccare i negoziati, chi invece ritiene che la sopravvivenza dell'azienda motociclistica sia legata a una maggiore competitività nel medio-lungo termine e quindi la decisione sia pressoché inevitabile.

Alcuni stati USA hanno presentato dei pacchetti di incentivi per portarsi in casa il celebre marchio, ma la soluzione vincente non è un regime fiscale favorevole per 5 o 10 anni o la disponibilità di finanziamenti agevolati. Alla lunga, il vantaggio competitivo è dato dalla flessibilità che solo un accordo con i sindacati (o l'assenza di sindacati dalla nuova fabbrica) può consentire.

Dopo il successo di vendite negli ultimi anni, la generazione che ha rappresentato il maggiore mercato per le Harley Davidson (i "baby boomers" del dopoguerra) sta invecchiando e la propensione all'acquisto di moto è inversamente proporzionale agli acciacchi dell'età. C'è quindi dietro l'angolo un possibile declino della domanda. La decisione di staccare la spina alla Buell, l'azienda del gruppo che produceva moto di ispirazione più sportiva, significa che Harley Davidson dispone ora di una gamma di prodotti destinati a un solo tipo di pubblico. Mossa pericolosa, ma forse necessaria per tagliare velocemente i costi.

Staremo quindi a vedere se HD lascerà veramente la sua patria Milwaukee e quali saranno i successivi sviluppi. Non bisogna dimenticare che la casa americana ha già una significativa presenza in India, uno dei maggiori mercati potenziali al mondo, e già da tempo si parlava di assemblare le Harley nel paese asiatico per evitare i gravosi dazi doganali sull'importazione dei prodotti finiti.

A Milwaukee un pensierino sull'India devono per forza averlo fatto…

venerdì 13 agosto 2010

Questione di prestigio


Ho smesso di leggere le recensioni di qualunque bene o servizio che siano pubblicate in Italia, sia sui giornali che sui siti Web.
Come un filtro anti-spam che riconosce al volo le parole chiave degli odiosi messaggi di posta indesiderati, anch'io ho sviluppato un sesto senso per le marchette della stampa italica, una manica di pennivendoli inverecondi pronti a cantare le lodi di qualunque cosa.
La parola che mi fa accendere la spia rossa dell'allarme-marchetta è prestigio, anche quando compare nella sua forma aggettivale prestigioso.
Quante volte l'avete letto solo oggi in qualche recensione?

Il prestigioso marchio Motom è ritornato a fregiare degli splendidi scooter…

Leggi: il marchio Motom, che risale al 1947 e che è andato prematuramente a estinguersi per mancanza di mercato/soldi/idee è ritornato con una spudorata operazione commerciale che ha messo in circolazione scadenti trabiccoli fatti in Cina abbinandoli a un logo storico ma tanto estinto quanto l'Idrolitina.

Vacanze da sogno nel prestigioso Hotel Caccamo, due stelle, vista tangenziale, tutte camere con bagno, sottopassaggio per accedere al parcheggio. Disponibili camere insonorizzate per un modesto supplemento.

Leggi: locanda malconcia e rumorosa in posizione assolutamente da evitare a meno che non vi si guasti la macchina lì davanti alle due del mattino.

La parola prestigio viene, guarda un po', dal latino e vuol dire originariamente "gioco di destrezza" e, in senso traslato, "illusione". E qui la definizione "marchio prestigioso" abusata dalla stampa calzerebbe a pennello: si tratta di un gioco di prestigio in cui a essere giocato è sempre il consumatore che crede a quello che legge.

Il significato corrente che si attribuisce a "prestigio" (autorità, fascino) si avvicina molto all'utilizzo che la lingua francese ha fatto della parola latina. Fra i vari significati di prestige, oltre a quello di illusione e gioco di mano, ci sono attrazione, capacità di sedurre, di fare impressione. Anche l'inglese, che deve al francese un bel po' dei suoi vocaboli, ha ereditato prestige ma soltanto nelle sue accezioni di reputazione raggiunta tramite il successo oppure capacità di suscitare impressione.

Ecco quindi un'arma letale nelle mani dei marchettari: il cronometro, i mocassini, il marchio storico, il motorino, il pied-à-terre in borgata, sono tutti oggetti prestigiosi i cui lati positivi non vanno nemmeno descritti. Sono misteriosamente contenuti nell'aggettivo e nessuno osa chiedere quali siano per non passare da ignorante.

D: Ma come ti è venuto in mente di comprarti quel catorcio?
R: Ma scherzi? Non lo vedi che  è un marchio prestigioso!

Ovviamente dei lati negativi, trattandosi di recensioni stampa, non si parla affatto.
Va bene informare i consumatori, ma vediamo di non esagerare e finire per raccontargli le cose come stanno...

giovedì 5 agosto 2010

Punti di vista

Improvviso di maltempo sul Nord e Centro Italia e le temperature di questa prima settimana di Agosto scendono in picchiata.
Non erano ancora le 5 di questa mattina che ha iniziato a cadere una pioggia torrenziale accompagnata da raffiche di vento. Cinque ore dopo pioveva ancora e la temperatura non superava i 15°.

Che piacere prepararsi a uscire indossando una camicia più pesante e, pensandoci bene, anche un giacchetto impermeabile, mentre le folate di vento scaraventano secchiate d'acqua sulle finestre.

Cielo nero e nuvole basse che scorrazzano veloci. Che c'è di più bello dopo settimane d'afa?

Questione di punti di vista. Quante volte, proprio in questo momento dell'anno, abbiamo guardato fuori dalla finestra e maledetto il maltempo, quell'aria fredda e quel cielo nero?
Che cosa fai quando a metà di un viaggio, con la moto parcheggiata davanti all'albergo, ti capita una giornata da lupi come questa?

Ti documenti sull'evoluzione meteo, guardi il cielo, studi una strategia di itinerario ma intanto tiri fuori la tuta antipioggia. Si parte lo stesso, ma la bellezza di una giornata passata a pennellare le curve sull'asfalto asciutto è sfumata.

Mi torna alla mente un arrivo in traghetto a Barcellona mentre veniva giù un nubifragio. E noi che sognavamo cieli azzurri e temperature miti. Viene giù tanta acqua che non mi accorgo nemmeno di aver mancato  l'uscita giusta dall'autostrada e aggiungo quasi un'ora al tragitto per l'albergo. Un'ora di rovesci ininterrotti, naturalmente. E io che, ottimista, mi ero rifiutato perfino di indossare l'antipioggia sopra la tuta in pelle.

L'immagine di un viaggio "bagnato" mi fa ricordare un altro risveglio amaro. Andorra, sono le 7 e piove. 

Le nuvole sono così basse che sembra di toccarle. Facciamo colazione sperando in un miglioramento ma non c'è niente da fare: arrivano le 9 e la pioggia non accenna a smettere.

OK, indossiamo l'antipioggia e ci mettiamo in strada. È Ottobre e fa anche freddo. Seguiamo la strada per la frontiera spagnola e La Seu d'Urgell cercando di non scivolare sulle strisce e la segnaletica orizzontale bagnate. Ovviamente alla frontiera il doganiere spagnolo vuole farmi aprire l'unica borsa coperta da telo impermeabile. Quelle che si aprono semplicemente a chiave non gli interessano.

Fuori farà freddo ma nella tuta antipioggia si suda e il casco si appanna.

Ripartiamo. Dopo dieci minuti in terra spagnola, ecco che esce il sole.
Un altro dei grandi piaceri della vita è togliersi la tuta antipioggia...

domenica 1 agosto 2010

La Lola si chiama Gretchen

"È il latte della Lola!" squittiva quel bambino dalla voce odiosa con in mano il suo bicchiere di latte.

Ma quale Lola? Lui poi non ha neanche mai visto una mucca in carne e ossa. Anzi a scuola le disegna colorate di viola perché le uniche mucche che conosce sono quelle della Milka. E quando si scopre che la Lola non esiste, che la fregnaccia autarchica delle 50.000 mucche italiane è assai improbabile (visto che latte e pasta di formaggio arrivano dalla Baviera), la sua carriera da attore è in grande crisi. Difficilmente lo rivedremo in quello spot TV.

In un blog dedicato proprio agli spot televisivi leggo la descrizione di quella pubblicità:
"Lo spot, epico e corale, fatto di natura, di mucche, di passione e di latte, racconta che il latte, e la linea di prodotti Alta Qualità G*** nascono da un incontro straordinario. Quello tra chi il latte lo fa per davvero, e chi lo beve; che mai, come nel caso di G***, sono così vicini."
"Vicini"? Quanto ci mette un'autocisterna a fare 600 km?
"Epico e corale". Vero, peccato che fosse un falso.

In Italia, marketing e marchette sono la stessa cosa. Inoltre, appena mettete qualcosa sul mercato, che sia uno stracchino o una moto, siete subito assaliti da uno stuolo di "giornalisti" pronti a cantarne le lodi per quattro soldi, per una moto in comodato gratuito o per un quintale di stracchino consegnato sotto casa.

Diffidate dalle prove su strada, dai test comparativi, dall'opinione dell'esperto. Tutta gente che ha un mutuo da pagare e scriverebbe di tutto su tutto. E fra questi desperados della pubblica informazione c'è anche chi recensisce le campagne pubblicitarie, prova i biscotti, prende i tempi sul chilometro dello stracchino e certifica la digeribilità delle moto. Tutti pronti ad avallare le palle più colossali per un piatto di minestra.

Rassegnamoci.  Anche La Valle degli Orti non esiste. Sono verdure raccolte e surgelate "prevalentemente" in Italia, trasportate in container refrigerati e confezionate dalla Nestlé. La Valle nacque nel 1984 e c'è sicuramente in Italia chi è convinto che esista sul serio e ci lavorino tanti vecchietti sorridenti, con una gran chioma di capelli bianchi e che annaffiano con amore pisellini e carotine.

Dieci anni prima (1974) nasceva il Mulino Bianco, la linea di prodotti da forno della Barilla, realizzata in gran segreto da un maestro pasticcere inglese. Un'icona sdolcinata e rassicurante perpetuata da ormai 36 anni di pubblicità fin troppo stucchevole. Anche il Mulino, naturalmente, non esiste.

Nel mulino che vorrei…

Non so voi, ma io non vorrei un mulino. Io vorrei solo mangiare della roba decente e che la smettessero di raccontarmi stronzate.

lunedì 26 luglio 2010

Otto milioni di mozzarelle

Prima di andarsene a dormire, dopo la razione giornaliera di inefficienze, malcostume e cialtroneria, il nostro Bel Paese si racconta ogni sera la favola del Made in Italy, una palla patetica come gli otto milioni di baionette.

Sapete, roba dei tempi della seconda guerra mondiale, quando rapidi e invisibili partivano i sommergibili però gli Alpini andavano in Russia con le scarpe di cartone.

Ma il Paese conta su queste bufale autoreferenzianti per far addormentare i cittadini-bambini. Si stordisce bene bene guardando il calcio e ha il cuore gonfio di orgoglio per il suo impegno per la pace nel mondo, che consiste nel mettere fuori al balcone le bandiere arcobaleno. La bandiera nazionale no, quella solo se l'Italia gioca ai mondiali. Quest'anno il tricolore è ancora nuovo di pacca.

Il Paese è contrario alle guerre, però i volontari vanno in Afghanistan perché lì si guadagna di più. Basta che quegli altri non gli sparano, però. Non sia mai che un talebano apra il fuoco che le mamme dei militari in missione vanno subito a strapparsi i capelli in TV. Cercasi zona di guerra dove non si spara per poter mandare tranquilli una missione di pace.

E intanto l'italiano esige con fermezza la qualità italiana: si moltiplicano i consorzi DOP, l'ordine professionale dell'aceto balsamico, il gran giurì dei capperi, i templari del pecorino, l'inquisizione della mozzarella.

I gran sacerdoti del Made in Italy vanno alle fiere internazionali a difendere la purezza del marchio mentre a casa hanno l'emergenza rifiuti. La ricottina ha il bollino blu della goletta verde, però sa di merda.

"Latte Pippo DOC: solo mucche italiane". Perché, vi fanno schifo le mucche svizzere, austriache o francesi? Che cosa hanno di speciale le mucche italiane? Sono meno pazze delle altre? Se mangio una bistecca di Angus o una costata sudamericana sto rischiando la pelle? L'ignorante, che non sa decidere di suo, ama i luoghi comuni e se ne fa propagatore: "Al bambino ci do la fettina di carne italiana, ecchè scherziamo?"

Poi arriva la pubblicità televisiva di una nota birra nazionale: "Birra Pluto, 100% puro malto italiano". L'Italia non è nemmeno fra i primi 10 produttori di malto al mondo, ma deve avere una sua ricetta segreta. Non accettate birra fatta con malto straniero, magari tedesco o belga. Sappiamo che fetenzie di birre ci fanno quelli là. Dell'origine del luppolo però la pubblicità non parla, magari lo compriamo da un fornitore scomodo.

Terzo millennio. Nel mondo globale l'Italia scava trincee alimentari da Trieste in giù. Partono iniziative frenetiche sui mercati esteri per combattere le contraffazioni alimentari. La parola d'ordine è: "I marchi taroccati (Parmezan, Prisecco, Amarotto di Sarenno, Lambresco) frenano la diffusione dei prodotti di qualità". 
Come dire che i Rolex fasulli frenano le vendite di quelli autentici. 
Ma siamo seri!

Il problema è proprio quello: per essere seri ci vuole gente seria.

martedì 20 luglio 2010

Dieci metri

Sono in moto e sto attraversando un quartiere periferico della città. Il traffico non è intenso ma disordinato e l'impressione è quella di essere in un videogioco nel quale le minacce spuntano da ogni angolo. Furgoni fermi in seconda fila, auto contromano, l'imbecille che esce a retromarcia dal passo carrabile, i pedoni-gallina che attraversano la strada guardando dalla parte sbagliata.

Non mi piace girare in città con la moto. Se la sua potenza è tale da tirarmi fuori dai guai in un secondo, le dimensioni e il peso sono uno svantaggio. Mi accorgo di guidare teso e so di non divertirmi per niente.

Da un paio di minuti sto seguendo un vecchio furgone bianco, un Nissan Vanette malandato con una pellicola scura incollata sul lunotto posteriore. Praticamente ho un muro davanti e non vedo niente. Il fatto di non poter vedere il guidatore, poi, mi infastidisce e vorrei superarlo. Ma in questo pezzo di strada non ho possibilità, nell'altra direzione le macchine arrivano  cadenzate regolarmente al punto da rendere impossibile il sorpasso.

C'è poi qualcosa di strano in questo furgone, qualcosa che istintivamente non mi convince e mi rendo conto di aver tolto la mano dal gas come riflesso condizionato. Mi sembra che il mezzo cammini fuori asse, che sia storto. È un modello di oltre 15 anni fa, il motore è malmesso a giudicare dai fumi di scarico e anche le ruote non  sono in gran forma. La vernice bianca è opaca e sembra data a pennello…

Deve aver preso una botta da dietro e sarà stato riparato alla fai-da-te. Mi accorgo di aver aumentato istintivamente la mia distanza dal furgone, ormai ci separano dieci metri. Ecco che cosa non mi convinceva: i segnalatori posteriori devono essere guasti, ha certamente frenato un paio di volte e non si sono accese le luci dei freni.

Mentre ragiono così, la strada si allarga in una piccola piazza, il Nissan accosta a destra liberandomi la visuale. Ora finalmente vedo strada libera per duecento metri, più i dieci che ci separano. Esito un attimo perché ho ancora una sensazione di allarme che non mi molla.

Ma lo scooterone che ho visto arrivare sparato nei miei specchietti non ci pensa su un attimo, sento il frullatore che sale di giri e mi supera a razzo pochi centimetri alla mia sinistra.
Lo scooter schizza via rapido e intravedo un tizio in bermuda col casco jet e i braccini languidi appoggiati al manubrio. Intanto il Nissan si è spostato ancora a destra ma ha iniziato una conversione a U senza rallentare

Per lo scooter non c'è scampo e lo vedo schiantarsi nel furgone all'altezza dello sportello del guidatore.

Dieci metri e toccava a me.

sabato 17 luglio 2010

Vacanze al sol d'Italia

Riceviamo questo accorato appello e lo pubblichiamo:

Buongiorno a tutti, sono C.M. (nome abbreviato dalla redazione), sindaco di Nerchiate sul Groppone, un ridente comune della dorsale appenninica con frequente vista sul Mar Tirreno. 
Dico frequente perché ci sono giorni che fa brutto e il mare non si vede. Siccome l'anno scorso un gruppo di tedeschi ci ha fatto causa perché non si vedeva il mare (mentre sul depliant ci stava scritto vista mare), quest'anno facciamo le cose come si deve, massima trasparenza, o per dirla in polacco solidarnosc (sic).

Il paese che ho l'onore di servire come primo cittadino sta subendo fortemente la crisi economica senza averne colpa. Confermo in qualità di sindaco che nessun abitante di Nerchiate è responsabile della crisi globale; se lo fosse ve lo direi e avrei già preso i provvedimenti del caso. Eppure ci ritroviamo con gli alberghi (che poi è uno solo: l'Hotel Miratutto) e i campeggi vuoti, anche per il mese di agosto che fino ad ora ci faceva registrare il tutto esaurito.

La pizzeria Da Gennarino ha chiuso, il Bar Italia è stato comprato da cinesi, insomma l'infrastruttura culturale del paese si sta sgretolando. Il Nuovo Cinema Purgatorio è ormai abbandonato dal 1974.
Ecco quindi il perché del mio accorato appello. Voi che siete motociclisti e girate l'Italia spendendo soldi, magari in posti che non ne hanno bisogno (che so, il Lago di Garda, la Liguria e il Trentino), venite a spenderli qui. Gustate l'ampia offerta culinaria della regione, che si basa tutta sulle salsicce e la loro millenaria cultura.

La giunta comunale che ho l'onore di presiedere ha varato misure straordinarie per attirare il turismo qualificato come il vostro.

Abbiamo tolto la monnezza dalle strade (per ora l'abbiamo messa nel vecchio cinema) in attesa di provvedimenti del governo. I sei autovelox sono stati disattivati e i due vigili urbani hanno disposizioni di chiudere un occhio sulle violazioni meno serie. L'albergo ha ripristinato l'acqua corrente in quasi tutte le stanze, ha un televisore a colori nel ristorante e pratica tariffe speciali a partire da 50 Euro la doppia con la piccola colazione compresa.

Il campeggio ha tagliato l'erba alta e allontanato le bisce dopo gli incresciosi episodi della scorsa estate e vi attende con discoteca e animazione fino alle 3 del mattino. Per non disturbare gli ospiti che preferiscono dormire, le attività si terranno nella piazzetta dell'albergo.

Insomma, che aspettate? Venite a trascorrere le vacanze al sole d'Italia.

Con osservanza
C.M.

PS: Ah dimenticavo, siamo "comune per la pace", territorio denuclearizzato e per protestare contro l'inceneritore dei rifiuti abbiamo bloccato per un giorno la linea ferroviaria. Insomma abbiamo tutte le carte in regola!

sabato 10 luglio 2010

Ti saluto

Le strade si affollano di motociclisti, italici e stranieri,  ora che si rischia di prendere una settimana intera di sole e la tuta antipioggia può restare sul fondo del bagaglio.

Se ne vedono a centinaia e il tuo braccio sinistro è sempre pronto a salutarli o a ricambiare il loro saluto.

Già, il saluto! Una di quelle cose che ci separa dagli automobilisti e ci pone a millenni di distanza dagli scooteristi nella scala evolutiva.

Il saluto del motociclista si presenta in tante forme diverse, ognuna espressione della personalità del titolare del braccio (o a volte della gamba).

Ci sono volte però che il saluto non ti riesce, ma non è per alterigia o supponenza. Sono quei momenti in cui ti servono tutti gli arti del corpo e la testa non può che puntare l'uscita dalla curva: stai arrivando allegrotto in un tornante, il solito ciclista davanti a te sta facendo i bordi come una barca a vela e dall'altra parte scende una vecchia Honda Pan. Scali due marce, scansi il ciclista, imposti una traiettoria semi-decente ed esci dalla curva. Il tizio della Pan ti ha salutato, ma tu non avevi un arto libero per contraccambiare il saluto.
Se è uno che va in moto da qualche anno, avrà capito che avevi altro da fare.

Ma torniamo ai saluti riusciti.
C'è il saluto lento e ampio, il braccio che si abbassa verso la strada e risale solenne verso l'alto, le dita della mano che formano una V.  È il saluto che dice: ciao fratello, giornata da moto oggi. Buona strada a te.

C'è il saluto nervoso di chi non ha che un secondo di tempo prima di dover tornare alla condotta del mezzo. Come se quello della Pan ti avesse incrociato un attimo prima della manovra cliclista/tornante.
Anche quello è un: ciao! ma un po' stressato.

C'è il saluto elettronico di chi ti lampeggia e basta. Non mi soddisfa più di tanto ma può ancora andare.

C'è infine il "saluto italico", il più stitico della serie.
Incontri un motociclista in rettilineo, zero stress, mani e piedi liberi salvo la presa sulla manopola del gas.
Lo saluti con il gesto consueto e lui ti risponde sollevando due dita guantate dalla manopola sinistra.

Fatto, tutto qui. Due dita.

Ma non vogliategliene male. Al motociclista italico quella manovra è costata comunque uno sforzo psicologico immane. C'è stata un'illuminazione sconvolgente, qualcosa che solo anni di psicoanalisi possono produrre.

Ha dovuto ammettere a se stesso di non essere l'unico utente della strada in quel momento. Ha preso coscienza del fatto che c'era anche qualcun altro a cavallo di una moto, che la sfera terrestre era popolata anche da altri umani e non solo da lui.

Il saluto, nella sua forma elementare di riconoscimento dell'esistenza del prossimo, c'è comunque stato.

Sappiate anche che  scoprire così bruscamente di non essere il primo e l'unico motociclista al mondo gli ha rovinato la giornata. Vi deve bastare.

martedì 29 giugno 2010

Attività aereo-bica

No, non è un errore di stampa. Ho proprio voluto scrivere attività aereo-bica.
L’idea me l’ha fornita una di quelle conversazioni “captate” in un mezzo pubblico mentre qualcuno urla al cellulare. Captate si fa per dire, visto che almeno 50 persone sono investite acusticamente, che lo vogliano o meno, dagli sproloqui a 100 decibel di un cretino.

L’espressione che ho colto è “salto su un aereo”. La frase completa è: “Sai, domani salto su un aereo e vado a Londra" (ma ci stanno bene anche Helsinki o Cagliari). La chiave qui non è la destinazione, ma la disinvoltura con la quale un cerebroleso qualsiasi ama raccontare il suo viaggio in aereo.

La verità vera è che forse Humphrey Bogart quella notte a Casablanca avrebbe potuto saltare sull’aereo per Lisbona ma non lo fece. Indiana Jones, invece, mostrava una certa predisposizione a saltare dagli aerei o dagli Zeppelin.

Oggi non c'è più nessuno che salta sugli aerei, a meno che non si tratti di un aereo privato. Per cominciare, l’aereo va prenotato, altrimenti si rischia di finire a mangiarsi le unghie in lista d’attesa davanti al gate di imbarco, senza sapere fino all'ultimo se si riuscirà a salire a bordo o meno.

Poi bisogna arrivare in aeroporto almeno un’ora prima del volo, fare il check-in, passare il controllo di sicurezza dopo una fila interminabile che si percorre 20 cm alla volta. Saltare un cavolo! Poi si aspetta ancora fino all’annuncio d’imbarco e ci si rimette in fila per salire sul pullman o incanalarsi nel “loading bridge” che, un passo alla volta, ci porterà a bordo.

Dove vedono l’opportunità di saltare in aereo questi cretini narcisisti che si descrivono agli altri in toni epici?

Prendere l’aereo oggi equivale a salire (senza saltare) su un qualsiasi mezzo di trasporto di massa, la magia e il fascino di una volta sono finiti. 50 anni fa in aereo viaggiavano i capi di stato, le stelle dello spettacolo e la gente più abbiente. Posso capire che allora ci si tenesse a far sapere in giro di aver preso l’aereo. Ma oggi?

Sono saltato sul jumbo-tram o ho preso al volo il metrò sono azioni altrettanto eroiche da raccontare.