lunedì 31 agosto 2009

Singin' in the rain

Ore 7:30 di ieri: guardo fuori e vedo un cielo grigio e basso, con nuvole nere che viaggiano veloci da NE; ma le previsioni non danno pioggia.
Solo cielo coperto e temperature a picco.

Gli amici arrivano alle 9:00 e ci mettiamo in strada. E dopo un paio di minuti inizia puntualmente a piovere. Niente di eccezionale, solo un po’ d’acqua a vento.

La strada prosegue monotona ma veloce e l’acqua scorre via dal parabrezza e dalla visiera del casco in un turbine d’aria. La mia tuta antipioggia rimane piegata in una borsa della moto.

Dopo un’ora lasciamo la pianura per arrampicarci sui primi contrafforti del Monte Penice; qui la pioggia ci regala una breve tregua e la strada si rivela asciutta. Sopra di noi, il cielo basso nasconde gran parte del monte.

Se la temperatura fosse più alta, questa montagna verde incappucciata di nuvole potrebbe essere il vulcano sacro di un'isola dell’Indonesia e noi i pellegrini diretti alla cima. Scene di una salita al Monte Agung mi passano nella testa come una rapida proiezione di diapositive.
Ma a parte la salita nelle nuvole, è tutto sbagliato: odori e colori non sono giusti, la strada è troppo deserta e le case di Romagnese non sono quelle di Besakih.

L’aria è fresca e l’acqua nebulizzata che mi arriva nella visiera aperta è una goduria. Dopo tanta afa, la sensazione di freddo è impagabile. La strada continua a salire e le moto scuotono il silenzio della montagna: stiamo andando veloci e l’occhio non si stacca mai dalla strada. Foglie, sassolini, buche possono rovinare la magia di un’arrampicata come questa.

Ora siamo entrati nella nuvola e la visibilità crolla: vediamo a meno di cinquanta metri, ma di più non ci serve su un misto stretto come questo.

Arriviamo al passo con l’aria pungente dei mille metri e il profumo dei boschi che si fanno sentire prepotenti appena mi tolgo il casco. Non importa se ha ripreso a piovere. Anzi, è più bello così.

sabato 29 agosto 2009

Un verbo per ogni situazione

Propongo che il verbo valutare venga radiato dalla lingua italiana.

È diventato infatti fiancheggiatore di un classico tratto del carattere nazionale: l’incapacità di prendere una decisione o di impegnarsi dando una risposta chiara.

Il bello del verbo valutare è che, avendo un tono più serio e importante di verbi analoghi come pensare o riflettere, imprime una certa ufficialità alla frase.


Espressioni come “Ci devo pensare” o “Vorrei riflettere”, che per anni erano andate benissimo, sono ormai considerate patrimonio della gente semplice, anzi sempliciotta. L’Italiano ha imparato dall’autorità che più parli complicato e più diventi autorevole.

Allo stesso modo, la risposta. “Non lo so”, un’onesta frase che ha funzionato bene per secoli, è vista ora come un’ammissione di ignoranza. Meglio quindi fare fumo con il verbo valutare. (Voci di corridoio dicono che anche il verbo ponderare stia raccogliendo forti consensi, ma riparliamone fra cinque anni.)

Vediamo ora qualche esempio:

D: Venite al mare con noi domani?

R: Stiamo valutando.(Leggi: se non ci invitano amici più simpatici, ci tocca venire con voi.)

D: Direttore, siamo a fine Luglio. Ha stabilito i giorni di chiusura aziendale in Agosto?

R: Devo ancora valutare. (Leggi: me ne ero completamente dimenticato.)

D: Scusi, lei crede in Dio?

R: Mah, lo sto valutando. (Leggi: non mi voglio sbilanciare.)

D: Comandante, perché stiamo precipitando?

R: Sto valutando la situazione.(Leggi: non ne ho la più pallida idea.)

D: Allora la compri quella moto?

R: Sto valutando. (Leggi: non ho i soldi.)

Il verbo decidere, invece, è stato ormai defenestrato a furore di popolo. Si è scoperto infatti che decidere ha una notevole connotazione di finalità, per esempio: “Ho deciso!” (cioè: non ci posso più ripensare).

Gli Italiani del terzo millennio, stressati, confusi e schizzati, sono un popolo di indecisi cronici.
Se già la scelta di una corsia sull’autostrada si rivela molto sofferta, immaginatevi una decisione vera e propria quali traumi potrà comportare!

No, valutare è il verbo giusto per chi ama parlare, ma senza impegno.

D: Cara, tu mi ami?

R: Devo valutare.

venerdì 28 agosto 2009

Manco per sogno

Devo aver mangiato pesante ieri sera e questa notte ho sognato di avere uno scooterone.

Non mi chiedete di quale marca, tanto non lo so. Era uno di quei bagnapiedi lunghi con i fari plasticosi da supertransformer dei fumetti e aveva uno scarico cromato che faceva: brap. brap.

Devo dire che nel sogno non ho avuto nessuna difficoltà a guidarlo. Ho subito assunto la postura corretta, che è: ciabattelle senza calzini e piedi divaricati, pantalone corto e ginocchia aperte, gomiti attaccati al tronco e braccini appoggiati languidamente sul manubrio con i polsi molli.

Quando davo gas, accompagnavo l’accelerazione spingendo il busto in avanti e giravo la testa a destra e sinistra per vedere se qualcuno mi avesse notato.

Nel sogno, ero andato a fare spese al supermercato. Me ne andavo in giro per le varie corsie a cavallo dello scooterone - brap, brap - e caricavo nel bauletto surgelati, acqua minerale e mozzarelle. Poi, al momento di pagare mi intrufolavo tra i carrelli in fila e passavo davanti a tutti.

La cassiera mi guardava storto, ma io avevo il casco jet MOMO con la visiera iridio per cui lei vedeva solo la sua faccia deformata.

Se hai lo scooterone, la cosa fondamentale – l’ho scoperto questa notte – è avere l'espressione completamente vuota e non dire mai niente. Tanto per te parla il motore. Brap, brap, braaaaap.

Fuori del supermercato, c’era un gruppo di persone che spingevano i carrelli sulle strisce pedonali. Ancora un po’ e mi sarebbero sfuggite. Sono arrivato in picchiata come uno Stuka - brap, brap - e gli sono passato in mezzo facendo lo slalom. Movimento elegante dei gomiti, sinistra, destra e via. Peccato che il piede sinistro mi sporgeva un po’ dallo scudo e ho preso di striscio un carrello. Ancora un po’ e vado in terra.

‘Sti stronzi coi carrelli non guardano mai dove vanno.

giovedì 27 agosto 2009

Storie di banchina

La fila di veicoli sulla banchina è interminabile, ma con la moto sei sempre in pole position o quasi.

Davanti a noi ci sono solo due moto e hanno targa tedesca. Lui è un tipo dissipato, come un hippy in naftalina, codino grigio e giacca con le frange, sembra Willie Nelson ma è molto più alto. La Harley che cavalca è vecchiotta ma almeno non perde olio. Lei è un po’ tappa, 50 anni suonati, capello biondo a spazzola, pantalone in pelle dipinto addosso e una Honda Shadow che non avrà il carisma della HD, ma almeno si manovra comodamente.

Dietro di noi è appena arrivata una coppia italiana su R1200GS, tra lui e lei c’è mezzo catalogo BMW Motorrad 2009. Conto almeno 2000 Euro di vestiario in vista, chissà poi quanto altro si nasconde nelle borse corazzate (o refrigerate che siano). Sembrano seccati di non essere i primi della fila, ma si sa che la vita è ingiusta.

Poi c’è un tizio chiacchierone con un V-Strom stracarico di bagaglio. Dice di non avere nemmeno una cartina stradale, ma è anche vero che le vacanze più belle sono quelle estemporanee. Speriamo che abbia almeno portato lo spazzolino da denti.

Un fracasso infernale annuncia l’arrivo di due olandesi in tute di pelle integrali abbarbicati su due Ducati sferraglianti che puzzano di olio caldo. Sfilano davanti a tutti e si fermano con aria soddisfatta a un metro dall’orlo della banchina. Gli sguardi di venti motociclisti si fissano su di loro, qualcuno scuote la testa. “Arschlöcher” dice fra i denti Willie Nelson mentre si accende una paglia senza filtro.

Intanto alla fila si sono aggiunte tre moto stradali (due Kawa e una Suzy) con tre tipi palestrati che, dopo averci fatto quattro chiacchiere, non sono in viaggio a caccia di donne. Speriamo che non ci capiti la cabina a fianco.

Il sole è già calato e, nella luce rosa-arancione di un tramonto estivo, appare all’improvviso la nave. È una sagoma scura che scintilla di mille luci mentre scivola silenziosa verso di noi; poi ruota con elegante sicurezza e attracca alla banchina, spingendo verso terra l’odore della nafta mischiato alla puzza di mare marcio del porto.

Dopo mezz’ora il ponte garage si è svuotato e l’ufficiale ci fa segno di indossare i caschi e salire a bordo. I due Olandesi fanno finta di non capire e cominciano a smanettare come due scooteristi al semaforo, braaap, braaap, ma il casco non se lo mettono.

L’ufficiale gli fa di nuovo segno: mettetevi-il-casco. Ma loro niente; si son fatti mille chilometri per venire fin qui a fare come gli pare e nessuno ormai li può costringere. In Olanda avrebbero subito detto: Jawel meneer! e si sarebbero infilati gli integrali, ma qui sono in vacanza ed è troppo bello fare i cinghiali in Italia.

L’ufficiale si stringe nelle spalle e li fa salire a bordo. La sua espressione dice: cazzi loro.

Ora saliamo anche noi. Nel giro di pochi minuti le moto sono appoggiate sul laterale con la prima inserita e il bagaglio è già stato scaricato alla rinfusa in cabina.

Mentre attacchiamo la prima birra, una vibrazione scuote la nave e i lampioni della banchina sfilano lentamente. Siamo partiti.

mercoledì 26 agosto 2009

Benvenuti! Bienvenue! Welcome! Willkommen!

Benvenuti in Italia!

Il nostro Paese vi accoglie a braccia aperte e vi segnala alcune regole importanti per la vostra sicurezza e per rendere più serena la vostra vacanza qui da noi.

È vietato il vietabile. In particolare:

- Vietato superare i limiti di velocità a meno che non veniate da Paesi impronunciabili per cui fate comunque il cazzo dei comodi vostri.

- Vietato fare rumori molesti, a meno che non ci sia la Sagra del Paese, la Festa dell’Unità, la Beatificazione di San Silvio, oppure venite da Paesi impronunciabili per cui fate comunque il cazzo dei comodi vostri.

- Vietato circolare sulle statali e autostrade a fari spenti anche di giorno, ma visto che venite da altri Paesi e che non vi abbiamo informato di questa legge alla frontiera, fate comunque il cazzo dei comodi vostri.

- Vietato salire sui monumenti, a meno che non sia per incatenarsi in segno di protesta perché avete perso il lavoro, la Cesira vi ha lasciato, siete depressi, siete dei writer.

- Vietato deturpare monumenti, muri, edifici ecc., a meno che non siete dei writer o venite da Paesi impronunciabili per cui fate comunque il cazzo dei comodi vostri.

- Vietato sdraiarsi sui binari, a meno che non sia in segno di protesta perché avete perso il lavoro, la Cesira vi ha lasciato, siete depressi, siete dei pirla.

- Vietato istigare altri a non ottemperare ai divieti di tutto il vietabile essendo ciò severamente vietato.

Buone vacanze in Italia!

domenica 23 agosto 2009

Non...

Non basta ascoltare i Metallica e girare col chopper per essere un tipo duro. Magari poi buchi una gomma, ti prende lo sconforto e ti fai venire a prendere da mamma. Oppure tagli la strada a un pulmino di suore, che scendono e ti danno anche un sacco di botte.

Non serve rischiare la vita ogni cento metri per dimostrare di saper andare in moto. Ci sono motociclisti pazzi e motociclisti anziani, ma ne conosco pochi che sono tutti e due.

Non gliene frega niente a nessuno che siete stati in Australia (e per di più in aereo), quindi l’adesivo col segnale: Kangaroos Next 4 km potete pure staccarlo dalla macchina.
E poi, quand’è che è stato avvistato l’ultimo canguro a Pisa?

Non so che cosa devo fare quando mi trovo davanti un’auto con l’adesivo: Bambino a Bordo. Devo evitare di suonare, sennò si sveglia e rompe le balle a mammà? Devo cambiargli il pannolino? Devo farmi tirare sotto perché il bambino ride tanto quando i genitori investono una moto? Oppure, se vedo un camion con scritto: Attenzione: trasporto cavalli, come mi devo regolare? Mi tappo il naso sotto al casco, faccio il tifo per Ribot o me ne strafrego semplicemente?

Non mi è chiaro perché quando prendi una strada di montagna che sale a 2000 metri ti appare presto un segnale di pericolo con la sagoma della doppia curva e la scritta: per 2,5 km.
Poi, dopo un paio di minuti, altro segnale che dice: curve per 3,0 km. E così via. Quanti segnali inutili.
Non possono mettere un solo segnale all’inizio della strada con scritto: curve per 25km?
Ma poi, non è abbastanza ovvio che per salire a 2000 metri ti servono le curve?
C’è veramente qualcuno che pensa di arrivare al Passo del Tonale senza fare curve?
Si dovrebbe partire da Parma e costruire un viadotto rettilineo lungo 200km. (Poi, superato il Tonale che fanno? Scendono in Val di Sole col deltaplano?).

Non vi siete mai chiesti che tipo di idiota è quello che scrive con la bomboletta sui cartelli stradali: Lucia Ti Amo Torna da Me? Lucia probabilmente ci ha visto giusto ed è andata a vivere a Novosibirsk in Siberia. E intanto però migliaia di persone che passano di là ogni giorno devono domandarsi che cosa di importante c’era scritto sotto.

venerdì 21 agosto 2009

Fatti furbo, Dwayne

Dwayne è un perdente perché è stupido.

Inutile girare intorno alla questione. Se non fosse un cretino, non si sarebbe fatto 8 anni nel penitenziario federale di Moab per quella rapina al furgone blindato a Ely in Nevada.

Il bello è che la rapina gli era riuscita perfettamente, ma Dwayne aveva deciso all’improvviso di mollare l’auto e fuggire con una moto che aveva appena rubato in strada.

Elmer J. Wade, sceriffo della White Pine County lo aveva trovato due ore più tardi, distrutto dalla fatica, che spingeva una Harley senza benzina e con le borse laterali piene di banconote nuove ancora impacchettate.

Al processo, la testimonianza dello sceriffo lo aveva inchiodato e il pubblico in aula aveva anche riso fragorosamente all’ironico racconto dell’arresto fatto da Wade. Quello scroscio di risate aveva continuato a torturare Dwayne per otto anni. Appena uscito da Moab, il suo primo pensiero era stato di vendicarsi.

E ora Dwayne è barricato in una stazione di servizio chiusa sulla Highway 50, a mezz’ora dal centro di Ely, armato di un fucile da caccia e con la moglie di Elmer J. Wade legata e imbavagliata in un angolo. Appena arrivato a Ely, le è piombato in casa e l’ha trascinata con sé fuori città.

Nascosto nella stazione di servizio, ha poi chiamato lo sceriffo Wade dal cellulare della moglie e gli ha detto di presentarsi disarmato, altrimenti avrebbe “ammazzato la vecchia a fucilate” (parole sue).

Nell’aria limpida e secca del Nevada orientale, la Crown Victoria bianca di Wade con le scritte SHERIFF in corsivo blu sulle fiancate solleva una nuvola di polvere fine arrivando nel piazzale a gran velocità ma con lampeggiatori e sirena spenti e si ferma a trenta metri dai muri screpolati della stazione di servizio.

Elmer J. Wade esce lentamente dall’auto, si assesta il cappello in testa, alza il megafono e scandisce con la voce calma e l’accento strascinato che Dwayne odia tanto:

“Sei sempre il solito cretino, Dwayne. Mia moglie mi ha lasciato quattro anni fa e si è messa con un deficiente che fa i vasi di creta copiando quelli degli indiani. Mi ha portato via la casa, i figli e le passo duemila dollari al mese per mantenere lei e quello sfigato. Dwayne, fatti furbo ed esci con le mani in alto prima che mi vengano in mente delle strane idee…”

mercoledì 19 agosto 2009

Adamo ed Eva, oggi

Adamo Martufoni da Terni e Eva Borisov da Kiev si incontrano nel giardino dell’Eden, albergo tre stelle di Civitanova Marche. Lui all’Eden sta facendo le ferie di Ferragosto, lei ci lavora come cameriera.

Adamo ha 32 anni, è di media statura, scuro di capelli e vagamente belloccio. Eva, bionda, di anni ne ha 27 e in Ucraina è arrivata seconda a un concorso di bellezza, dove l’hanno bocciata perché era troppo alta.

Adamo impazzisce per Eva e ha sempre in testa non una, ma due mele. (È una storia moderna, per cui non diventate matti a cercare troppe corrispondenze con la Bibbia.) Eva si innamora di Adamo e già si immagina sposata a Terni come Eva Borisov in Martufoni.

Mancano due giorni alla fine della vacanza, Adamo ed Eva decidono di fare una pazzia. Saltano in sella alla moto di lui, una Yamaha FZR 1000 Genesis (ecco la vostra citazione biblica!) e si dileguano diretti a Venezia. È peccato? Si chiede Eva. Forse, ma almeno è un peccato originale!

Sì, vabbè - mi direte - ma che fine ha fatto il serpente?

Il serpente si manifesta nella persona di Martufoni Elvira, moglie di Adamo. Il giovane, infatti, non aveva ritenuto opportuno menzionare alla bella Eva di essere piuttosto sposato.

Adamo ed Eva viaggiano sulla Statale Adriatica, con i capelli biondi di lei fatti a codino che svolazzano fuori del casco. Lui sorride col sole in faccia. Sono giovani, sono felici e l’hanno combinata grossa.

Ma ecco che da uno stop esce senza frenare la Panda di Elvira e li investe in pieno.

“Non li ho proprio visti, andavano forte…” dirà una Elvira piangente alla Polizia Stradale.

Tre punti tolti dalla patente, 150 Euro di multa e la macchia del peccato originale è ancora lì, sull’asfalto, con i contorni tracciati dal gessetto.

martedì 18 agosto 2009

Cronache dal caldo

Ragazzi, che caldo infame.

Strizzando gli occhi in questa luce abbagliante, dalla finestra vedo ogni tanto qualche moto che passa.

Tutti in maniche corte, tutti in calzoncini. Non li invidio per niente.

Io vestito così non uscirei, nemmeno se facesse il caldo più fetente di agosto, vedi oggi per esempio.

Indosserei di sicuro qualche capo leggero, ma senza rinunciare alle protezioni interne. Le giornate così sono quelle predilette dagli storditi (quelli su quattro ruote e quelli su due) per inventarsi gli incidenti più assurdi.

Non dimenticherò mai quell’estate di quasi quarant’anni fa, mentre cercavo di attraversare una strada statale divisa da aiuola spartitraffico per immettermi nella carreggiata opposta.

La prima metà della strada era un muro di automobili che procedevano a passo d’uomo verso il mare, l’altra metà (vuota) era quella che portava in città.

Si crea un minuscolo vuoto nel fiume di traffico, lo attraverso rapido con la mia motina. Sono al varco nello spartitraffico, guardo a destra: non viene nessuno. Il tempo di rilasciare la frizione e entrare in carreggiata, sento a sinistra un urto violento all’altezza della forcella e mi ritrovo steso in terra sulla schiena con la testa rivolta al cielo. Non dimenticherò mai l’attimo di stordimento in quel bagliore lancinante del sole, l’odore dell’asfalto rovente e la puzza della miscela che inizia a sgocciolare da un serbatoio, forse il mio.

Un idiota con la Vespa 50, vista la carreggiata piena di traffico ha pensato bene di procedere contromano sull’altra e mi ha preso in pieno all’altezza della forcella. Ma la mia moto va ancora e io sono illeso, per fortuna avevo il casco (che allora non era obbligatorio). L’idiota invece ha sfasciato la Vespa e si è aperto una gamba. Chiaramente non è assicurato e, in qualche modo italico, vuole anche avere ragione.

Lo lascio per chiamare un’ambulanza e me ne ritorno con la moto zoppicante in garage.

Mi poteva andare molto peggio. Ancora pochi centimetri e mi giocavo il ginocchio sinistro.

Colpa del caldo? Non lo so, ma io resto in casa quando fa un caldo così.

venerdì 14 agosto 2009

Chi ti riporta a casa

Un mazzo di fiori sul guardrail è la storia di un’uscita finita male.

Escludendo l’ipotesi di un improvviso guasto meccanico, la principale causa degli incidenti non è la velocità ma la distrazione. Viaggiare veloci ma concentrati previene gli errori: la strada ti corre incontro come in un videogame, tu ne registri i segnali e reagisci di conseguenza. Guidare al margine delle tue capacità ti esalta e al tempo stesso ti stanca rapidamente. Ma se sai quando è ora di togliere il gas non ti uccide.

La distrazione, invece, non perdona.

Distrarsi capita. Possono essere la stanchezza, la noia, il caldo, la spossatezza, la sete, il sonno, una telefonata nel casco Bluetooth, una preoccupazione che riaffiora nel mezzo del viaggio, un secondo di troppo dedicato al GPS. Può succedere a chiunque, ma a determinare le conseguenze di una breve distrazione è solo il momento in cui la concentrazione salta.

La maggior parte delle volte non succede niente: il viaggio prosegue e quell’istante di vuoto viene azzerato. Altre volte, l’insidia nascosta e la distrazione si combinano con effetti catastrofici.

Le moto camminano per una serie di leggi della fisica che ne determinano la ciclistica e il funzionamento del motore, ma quello che le tiene in strada è la concentrazione del pilota.

Concentrazione vuol dire guardare la strada e i suoi utenti, studiarne i comportamenti e prevederne le manovre, cogliere gli indizi di una pendenza sbagliata, di un raggio di curva che si restringe, di ghiaia in carreggiata, di un incrocio nell’ombra, di una buca nascosta, di un velo di terra.

La moto ti permette di uscire e divertirti, ma è la concentrazione che ti riporta a casa.

mercoledì 12 agosto 2009

Il sogno

Mi sto arrampicando veloce su una strada di montagna. A metà mattinata, l’aria è limpida e fresca e mi sento euforico (avete presenti quelle giornate in cui tutte le manovre si susseguono lisce e senza sbavature e la coordinazione dei movimenti è impeccabile?).

La moto è come un’arma letale comandata dalla mano destra: alla minima rotazione del polso si lancia in avanti ringhiando, poi torna a brontolare sommessa mentre entro in curva e al momento di uscirne scarica in terra rabbiosa i cavalli del motore.

Sto viaggiando lungo la parete della montagna che sfreccia alla mia destra e subito a sinistra della striscia di asfalto scorre veloce una fitta schiera di alberi. Giro un’altra curva e mi trovo davanti un muro di plastica alto tre metri.

È un camper che si inerpica fumando a 40 kmh e riesce a bloccarmi del tutto la visuale, seguendo una linea zigzagante che ora lo porta nella corsia opposta, ora lo avvicina pericolosamente alla ghiaia della banchina destra.

“Devo superarlo prima che mi tiri un sasso in faccia” mi dico, ma non vedo assolutamente niente e sono costretto a seguirlo mentre si imbarca in un’altra curva a destra e barcolla nella corsia contraria.

Nello spazio libero che si crea tra camper e montagna scorgo però un rettilineo di almeno 100 metri seguito da una curva a destra. “Mi dovrebbe bastare” penso, e mi ritrovo già in sorpasso con il gas spalancato.

Sono quasi a fianco della cabina del camper quando, tra le ombre lunghe degli alberi che si proiettano sulla strada vedo un bagliore sospetto. È un’automobile scura che viaggia a luci spente verso di me, del tutto invisibile finché un raggio di luce non ne coglie una superficie cromata.

Mi resta una frazione di secondo che per decidere: mi attacco ai freni e lascio sfilare il camper o tiro dritto a tutto gas? L’automobile mi lampeggia (adesso li ha trovati i fari il deficiente!) e l’idiota del camper si spaventa e frena. Sono bloccato qui fuori in sorpasso e ora la decisione può essere solo di aprire tutto fino al limitatore.

Mi sveglio bagnato di sudore e con il cuore che batte a mille. Non saprò mai come sia finito quel sogno, ma il momento di gelo della brutta sorpresa non riesco a scuotermelo di dosso per tutto il giorno.

lunedì 10 agosto 2009

Vento e libertà

Mi capita spesso di sentire il ronzio di un aereo da turismo che passa sopra casa: sono i piloti dell’Aeroclub di Bresso che vengono sempre a esercitarsi in questa zona.

Di colpo il silenzio: l’aereo sembra arrestarsi a mezz’aria per poi piombare giù di muso per qualche decina di metri. Ecco che il motore riprende a girare a tutta manetta, l’aereo guadagna quota e prosegue a volare livellato. È la prova di stallo, una normale esercitazione di pilotaggio.

Questo alternarsi di ronzio, silenzio e poi motore a pieni giri mi riporta indietro di quasi quarant’anni, ai tempi in cui ho imparato a volare. Era il 1970 e mi pagavo le lezioni di volo dando ripetizioni di Inglese a ragazzi poco più giovani di me.

Il rapporto monetario tra ore di ripetizione e singola ora di volo era devastante, ma la passione mi spingeva a proseguire. La sensazione di libertà che l’aereo mi dava era impagabile. Anche legato al sedile in un cockpit angusto, che puzzava di benzina, tela vecchia e vernice calda, con quell’elica di legno a passo fisso che frullava l’aria e con le automobili che viaggiavano più veloci di me sull’autostrada sottostante, mi sentivo padrone del mondo a 19 anni.

Inevitabile fare il paragone tra aereo e moto. Ma in realtà, quando sono in sella, è il ricordo delle ore passate in un aliante che mi ritorna più spesso in mente, per illogico che sia.

Alla fine, la moto è tutta motore, è un propulsore che stringi fra le ginocchia e che dosi con la mano.

L’aliante invece è il fruscio del vento e la sensazione di galleggiare nell’aria quando sganci il cavo di traino e te ne vai libero. Nell'equazione, il motore manca del tutto...

Sarà forse il rapporto con il vento che mi fa paragonare la moto all’aliante. O forse la maniera in cui lo piloti con due dita e lo traversi contro l’orizzonte quasi col pensiero. Oppure sarà il fatto che è soltanto in moto e in aliante che mi sono sorpreso a ridere per nessun valido motivo.

Certo è che, se mai dovessi ricominciare a volare, non esiterei a preferire l’aliante. E chiaramente mi presenterei in moto al campo di volo.

domenica 9 agosto 2009

Dignità di cane

La nostra giovane Sam ha subito un piccolo intervento chirurgico e ancora per qualche giorno zoppicherà un poco.

Ma la sua infinita energia e la curiosità irrefrenabile dei suoi otto mesi non la fanno stare ferma un attimo. Abbiamo serie difficoltà a farla “riguardare”, come ha suggerito utopisticamente il veterinario.

Sam si lancia, corre, salta, tira il guinzaglio, insegue gli insetti e si arrampica sui mobili come se il dolore non ci fosse.

Ma la cosa che più mi colpisce è la sua espressione vivace e intelligente, che soltanto l’anestesia è riuscita ad appannare per qualche ora. Nei suoi occhi non c’è autocommiserazione e manca del tutto l’intenzione di suscitare pena per la sua temporanea infermità.

Il cane è programmato per andare dove deve andare e fare quello che deve fare. Se una zampa gli fa male, andrà più piano.

Ho visto cani vivere normalmente con una zampa in meno o sopravvivere stoicamente con solo due zampe operative o altre gravi menomazioni.

Soffrivano? Certo che soffrivano, ma l’occhio limpido e l’espressione determinata sembravano voler dire: “D’accordo, non sarò al 100% ma me la cavo ancora da me.”

Che esempio di dignità.

Il cane non si piange addosso, non diventa egoista e insopportabile quando soffre. E non vanta diritti o richiede trattamenti speciali.

Ti guarda con gratitudine se gli dai una mano, scodinzola e si agita tutto se gli regali un biscottino fuori programma, ma il problema (se ha un problema) rimane il suo e se lo gestisce da sé.

sabato 8 agosto 2009

Partenze


Dedico queste poche righe ai miei amici e compagni di scorribande con i quali ho già fatto migliaia di km quest’anno e passato ore e giornate spettacolari. Ad Agosto, la tradizione vuole che le compagnie si sciolgano temporaneamente per ricostituirsi a fine mese, quando tutti ritornano alla base e alla vita di ogni giorno.

Qualcuno è già in viaggio, altri stanno caricando i bagagli sulla moto e tra poco saranno proiettati verso la meta, implacabili come segugi.

Altri ancora hanno gettato un ultimo sguardo languido alla moto parcheggiata in garage e hanno stipato l’ennesima valigia in macchina. La vacanza la faranno senza moto, perché diretti verso qualche località con tutta la famiglia o pronti a imbarcarsi su un aereo di linea o su una nave.

Ci rivediamo fra qualche settimana per programmare la prossima uscita, aggiornarci sulle ultime novità o per dare un’occhiata a qualche magagna della moto che è saltata fuori a sorpresa.

Il tempo che passa è scandito da questi riti che si ripetono puntuali ogni anno. C’è la voglia di partire e il piacere di rientrare e raccontare le proprie avventure agli amici.

Buona strada e vacanze serene a tutti.

venerdì 7 agosto 2009

Una boccata d’aria

Se non contiamo gli incidenti evitati (grazie alla concentrazione di chi guida la moto e al santo ABS) e lo stillicidio di geriatrici rintronati alla guida di camper troppo grossi per loro, un giretto sulle montagne in questi giorni è un tonico incredibile.

L’aria è fresca e limpida, il cielo di un blu impossibile che quasi esaspera i colori. Overdose sensoriale a ogni curva: il profumo dei boschi, l’aria fresca a 15° che corre sul collo, il motore che ti proietta in avanti come una fionda appena spalanchi un po’, gli altri motociclisti che incontri a decine, tutti con la mano fuori a salutare.

Un giorno qualunque della settimana (mai il weekend, per carità), una partenza di prima mattina e sei subito sulle Alpi. La Val Cenis, dopo il dimesso e fatiscente valico del Moncenisio, è un alveare di attività turistiche. I paesi sono ben curati e ci sono fiori dappertutto. Avendo tempo, ci sarebbe da fermarsi a gustare le specialità della Savoia e bere una birra dei brasseurs locali.

Ma il tempo non c’è e si gira con lo sguardo che ogni pochi secondi lascia l’asfalto e si perde lassù in alto nelle montagne. La strada si dipana in maniera spettacolare e quasi non ti accorgi di tutto quel traffico di vacanzieri ubriachi di sole.

E poi comincia la splendida salita dell’Iseran. La strada è priva di protezioni e sembra grattata via dai monti. Se la chiudessero, hai l’impressione che la montagna se la rimangerebbe in pochi anni. In cima al passo, a 2770 metri, il cielo è quasi trasparente e ti prende la voglia di imbottigliare quell’aria fresca e limpida per riportarla in Val Padana.

Un giro come questo ha un ritmo necessariamente serrato, che non lascia troppo tempo per lunghe pause. È già tanto togliersi il casco ai lati della strada per fare due foto. Ma la carica positiva di quelle vedute e di quel cielo terso te la porti dentro per qualche giorno.

Ma dopo un po' bisogna ritornare lassù.


mercoledì 5 agosto 2009

Basta la parola


Mi aggancio al mio precedente post Dove va la lingua itagliana? per farvi una confessione.
L’attrazione fatale per il significato delle parole cominciò per me già da bambino. Per esempio, non riuscivo a spiegarmi perché quella separazione fra i seni di una donna fosse chiamata scollatura.
Ma perché: vuol dire che prima erano incollati fra loro? Mi fate provare a riattaccarli?

Mi hanno sempre affascinato l’etimologia e l’evoluzione del linguaggio, ma quello che più mi colpisce sono le incongruenze e le eccezioni alla regola.

Per esempio: un frontaliero è uno che passa il confine per andare a lavorare. Ma allora, quando la sera torna a casa, si chiama retraliero (o nucaliero)?

Ma le contraddizioni e le ambiguità della lingua non si esauriscono qui:
  • vivaio non è il contrario di mortaio

  • monastero: in Veneto è un convento di preti o suore stupidi

  • cefalea: il mal di testa dei pesci

  • pernicioso: al vago sapore di pernice

  • pederasta: maratoneta seguace di Bob Marley

  • fascione: parte di carrozzeria auto dalle tendenze nostalgiche

  • cacofonia: impianto stereo installato in gabinetto

  • cinodromo: pista riservata agli orientali

  • nullatenente: militare sottopagato

  • tettoia: riparo naturale offerto dal seno

  • 888: numero fortunato se siete cinesi

  • 883: numero sfigato se avete una Harley

  • Paperino: il pontefice della Disney

  • Viterbo è la città dei Papi

  • Arcore è la città del Papy

  • polipropilene: mollusco con 8 tentacoli in plastica

  • Turchi Ottomani: maneggioni levantini
E per chiudere in bellezza, vi elenco altri Sette Nani alternativi che furono bocciati al provino di Biancaneve:
  • Edolo il nano della val Camonica,
  • Rotolo il nano obeso,
  • Cutolo il nano camorrista,
  • Obolo il nano benefattore,
  • Pungolo il nano provocatore,
  • Rantolo il nano agonizzante,
  • Botolo il nano antirughe.
Per ora, direi che può bastare.

martedì 4 agosto 2009

Tempo e vacanze

Oggi vi immagino seduti sul terrazzo della Pension Alpenrose in un ridente paesino dell’Alto Adige, mentre contemplate una porzione di fragole con tanto di panna fresca, preparata con le sue mani dalla titolare, Frau Anneliese Profanter, che è nata qui e non è mai stata a sud di Trento.

Mentre scrutate il profilo maestoso dei monti che vi sovrastano alla ricerca di uno sprazzo di blu (sono due giorni che piove e ci sono 10 gradi), sappiate che oggi a Palermo ci sono 33 gradi e un’umidità di oltre l’80%. Fareste a cambio?

L’Italia non è certo il solo paese ad avere estremi climatici durante la stessa stagione.
Anche la Germania, per non andare troppo lontano, può offrirvi una giornata soleggiata ma umida con 30° di temperatura sulle rive del Lago di Costanza mentre a Rügen, sul Mar Baltico, ci sono 8° con vento forte e pioggia battente.

Ma vacanza, lo dice il nome, vuol dire “esser sgombro, libero, senza occupazioni”. Proprio quello che non mi riesce di essere oggi, qui alle porte di Milano. Devo completare un lavoro misura XL, ma la voglia di farlo è una taglia XXS.

Per cui, zippate bene il K-Way e fate una bella camminata se siete in Alto Adige, oppure toglietevi la sabbia dalla faccia se siete a Rügen e bevetevi una birra al Gasthof zur Linde. L’importante è potersi permettere il lusso di perdere tempo e non pensare a niente.

Alla fine, è proprio la testa che ha bisogno di una vacanza. E credetemi: la testa ci va lo stesso in folle, anche se il tempo non collabora.

lunedì 3 agosto 2009

Orwell insegna

L'Italia punta a diventare il paese più all'avanguardia nel controllo della rete viaria tramite sofisticati sistemi elettronici. Si prevede che nel 2020 verranno aboliti interamente i controlli della Polizia Stradale, che potrà quindi dedicarsi a consegnare atti amministrativi e scortare auto blu.

Dopo il successo iniziale di Tutor, è stato già annunciato
Minosse (che dovrebbe reprimere il fenomeno dell'abuso delle corsie di emergenza).

Ma è solo l'inizio! L'orgia orwelliana continua con una serie di avanzatissimi strumenti educativi.

Diogene: rileva e multa chi bestemmia in auto. Il sistema, auspicato dalla Conferenza Episcopale Italiana, legge i movimenti delle labbra e capta le bestemmie. Per esempio, se dite due parole con un totale di quattro sillabe e tre "o", vi arriva a casa il bollettino.
Se avete solo detto "Porto zio", basta un semplice atto notorio firmato da tre testimoni per scagionarvi.

Bacchus: palloncino addio! Chi beve prima di mettersi alla guida viene beccato perchè il sistema capta l'angolazione degli occhi tipica dello stato etilico. Chi soffre di strabismo e riceve la multa, può farla annullare allegando un certificato medico.

Ulysses: chi telefona mentre guida e dice bugie viene pizzicato tramite una macchina della verità posta a intervalli regolari lungo l'autostrada. La macchina si interfaccia con le celle del sistema GSM e controlla che la bugia non sia stata detta in una telefonata internazionale. In quel caso entra in gioco l'Interpol e la multa raddoppia.

Casanova: se allungate le mani sulla passeggera o sul passeggero invece di guardare dove andate, un rilevatore di movimento e un sensore di temperatura rilevano il misfatto e vi spediscono a casa la multa con foto a infrarossi. Per tutelare la privacy, il volto dell'oggetto delle vostre attenzioni erotiche verrà elettronicamente oscurato.

Questo post è già apparso nel Novembre 2008 sul Forum Sport-Touring.it

domenica 2 agosto 2009

Dove va la lingua itagliana?

Eccovi una lettura leggera per quelle interminabili giornate sotto l’ombrellone.

Mentre il cane del vicino scava furiosamente e vi riempie i panini di sabbia, o quando ritornate esausti dall’acqua dopo essere sfuggiti a una medusa ipertrofica, leggete e ponderate queste definizioni.

Le lingue non sono altro che delle convenzioni e come tali soggette a cambiamenti. Col tempo alcuni significati si atrofizzano mentre se ne consolidano di nuovi più vicini alla realtà attuale.

Gettare acqua sul cuoco: smorzare i toni di una lite al ristorante

Calabrone: obeso di Reggio Calabria

Pretino: membro del clero dotato di scarsa intelligenza

Rogito ergo sum: motto dei notai

Canotto dello sterzo: parte del telaio di una moto molto utile su strade allagate

Piaggeria: tessere le lodi di Colaninno. Malattia endemica nella stampa italica

Supposizione: effetto del supporre (da non confondere con supposta)

Paracarro: colonnina di pietra a bordo strada (da non confondere mai con supposta)

Mordaci: aggettivo riferito ai cani o imprecazione comune tra i nordafricani di Roma

Erezioni anticipate:seguono lo scioglimento delle camere e precedono l’inchiappettamento degli elettori

Cariatide: massiccia scultura in pietra con problemi di denti

Escort: termine ambiguo che in Inglese vuol dire scorta e in Italiano zoccola

Multitasking: abilità femminile nel compiere più attività al tempo stesso, p.es.: durante la guida (ma non vale per la retromarcia)

Tangibile: donna che è lecito stringere ballando alla maniera argentina

Orpo!: esclamazione di sorpresa

Orpello: esclamazione di minore sorpresa

Mediatore: potente processore contenuto nel Tutor per calcolare la velocità media dei veicoli

sabato 1 agosto 2009

L'aquila e il bracconiere

Come da tradizione in casa Colaninno, il sabato si esce a comprare qualche giornalista.

Rinchiusi in gabbie con il pavimento coperto di giornali, gli “operatori dell’informazione” saltano su e giù, guaiscono e scodinzolano appena entra il “patron” del Gruppo Piaggio. “Io, io, io” dicono, sperando ciascuno di essere il fortunato che uscirà al guinzaglio con lui.

Il primo esercizio del giornalista addomesticato è scrivere qualcosa di positivo sulla Moto Guzzi. Da anni ormai, l’aquila di Mandello del Lario appare sempre più spennata. Le sue moto non si vendono se non a qualche irriducibile guzzista o a qualche corpo di polizia che le paga a peso.

Lo storico stabilimento sul Lago di Como è già da tempo passato di mano con un mirabile gioco di scatole cinesi e buona parte della costruzione delle Moto Guzzi è finita a Pontedera o a Noale. Non è lontano il giorno in cui al suo posto sorgeranno delle graziose villette, visto che quel terreno è l’unica cosa che ancora ha un valore.

Il compito odierno del giornalista scodinzolante è tessere le lodi della V7 Classic, una scialbissima operazione retrò (ormai l’aquila simbolo della Guzzi ha voltato l’occhio fiero e guarda solo indietro) come tante altre lanciate dal Gruppo.

La moto è modestissima. Certo, lo era anche la V7 di 40 anni fa al suo debutto, ma stiamo parlando di due generazioni di distanza. Nel 1969 la V7 si difendeva ancora bene sul mercato; di tanto meglio da comprare non ce n’era. Ricordo che era considerata una “maximoto” con il suo massiccio motorone agricolo da 705cc, l’ampio manubrio e la sella lunga e stretta.

Quando nel 1977 comprai la 850 T3, la fidanzata la battezzò “il tappeto volante”, tanto era più comoda e veloce rispetto alla V7.

Ora a chi compra la V7 Classic si regalano le borse flosce in pelle e il portaborse cromato (che, fedele alla tradizione, durerà una sola stagione prima di piegarsi per la ruggine).

Ma chi la compra?

Da appassionato di moto ed ex-guzzista vorrei tanto vedere questa casa morire con dignità. Applicare la vecchia colorazione bianca della V7 con stemma nero e rosso su un mediocrissimo “cancello” Guzzi di produzione attuale è un’operazione tanto squallida quanto inutile.