mercoledì 30 settembre 2009

Big-sky country

Ci risiamo. Mentre le giornate si accorciano e l’autunno segnala la sua presenza al calare del sole, viene la voglia di chiudere l’anno motociclistico in bellezza.

Come è stato per la Sardegna e i Pirenei negli anni passati (fughe di Ottobre alla ricerca di paesaggi assolati ma senza folla), anche il 2009 richiede a viva voce una galoppata in direzione Sud Ovest prima di mettere la parola fine sulle uscite impegnative.

Ci resteranno poi solo le passeggiate di un giorno negli spiragli che l’inverno consente.

È proprio la Spagna, paese cordiale e generoso, a offrire ancora giornate di sole e strade poco frequentate al motociclista in cerca di grandi spazi aperti e cieli limpidi. Nella nostra ricerca di big-sky country, come dice l’espressione americana, stiamo pensando con altri amici alla Sierra Nevada, ricca di paesaggi maestosi, belle strade e con la splendida città di Granada nelle vicinanze.

Non faremo indigestione di autostrade per raggiungere più velocemente la nostra destinazione.
La meta per chi va in moto è il viaggio stesso e intendiamo utilizzare qualche carretera nacional per non perderci quegli angoli di Spagna che l’Autopista spesso ti rapina.

Saremo tre o al massimo quattro. È il numero ideale per trovare rapidamente da dormire dove ci porta l’ispirazione e per appoggiare i gomiti sul tavolo alla fine della giornata e parlare del giorno dopo.

Ma ora vi lascio. La carta Michelin N. 578 (Andalucìa) mi attende.

domenica 27 settembre 2009

Cento di questi post

“A che serve un blog?” mi chiede un amico. “Ma, a niente” gli rispondo.

Come quei quadretti estemporanei che i pittori dilettanti dipingono sulle rive di un lago o ai piedi di una montagna, un blog serve solo a catturare l’ispirazione, le luci e ombre di un momento, a esternare delle idee o considerazioni che rischiavano di essere superate e travolte da fatti e riflessioni più importanti. Altro non gli è chiesto di fare.

Questo blog ha appena girato la boa dei cento post, dopo essere nato quasi per caso sette mesi fa.

Mi è servito per ragionare su alcune situazioni legate alla mia passione per le moto, all’amicizia e alle stranezze e incongruenze dei nostri giorni.

Mi auguro però che sia anche stato una lettura leggera e divertente per chi lo frequenta e possa aver dato origine, nel suo formato breve ed essenziale, a qualche spunto di riflessione. Nella peggiore delle ipotesi, spero almeno che non si sia rivelato tempo perso.

Ad altro un blog non deve servire. Certo, ci sono siti Web di notizie che adottano la formula del blog, ma l’attività di informazione preferisco lasciarla ad altri.

A me piace andare a leggere dietro la singola notizia oppure guardare l’affresco dei fatti del giorno da una certa distanza per cercare di capire che razza di giornate stiamo vivendo.

Solo dieci anni fa era impensabile che un privato potesse mettere in Internet le sue idee, raccontare le sue storie o ventilare i suoi malumori. L’informazione e la comunicazione la facevano gli addetti ai lavori, come dire che se volevi il ragù potevi solo avere quello della Barilla o di Agnesi.

A me piace pensare che la salsa fatta in casa (e anche il blog di un perfetto sconosciuto) abbiano dei sapori più autentici quando non hanno padroni o padrini da accontentare.

Ecco perché blog come questo, anche se non servono a niente, è importante che continuino ad esserci.

martedì 22 settembre 2009

Lavoro di squadra

Qualche giorno fa, rientrando in cinque moto dal Nürburgring, abbiamo percorso diverse centinaia di chilometri di splendide strade di montagna francesi. L’abbiamo fatto "con un certo entusiasmo", macinando curve e superando decisi il traffico presente (auto, camion e camper).
A differenza del celebre circuito tedesco, qui in moto c’eravamo solo noi, in gruppo serrato e impegnati su un tracciato complesso e assai più difficile da interpretare di una pista a senso unico.

Eppure abbiamo viaggiato veloci e sicuri perché affiatati tra di noi, pronti a leggere le mosse e le traiettorie del compagno di viaggio davanti e a segnalare a quello che seguiva la presenza di pericoli o di strada libera per il suo sorpasso. Il tutto ovviamente senza comunicare tra noi se non con i movimenti in sella alla moto o con brevi gesti delle mani.

Non c’è dubbio che una statale di montagna, stretta e abbastanza trafficata, presenti più incognite di un circuito chiuso, anche se popolato da macchine estremamente veloci. Ma qui eravamo nel nostro elemento, pronti a sfruttare il vantaggio di accelerazione delle moto e sicuri delle capacità e dell’attenzione degli altri membri del gruppo. Una delle ragioni per cui un gruppo piccolo è da preferire sempre alle carovane, anche per motivi di sicurezza.

Non una sbavatura, non un rischio di collisione tra di noi. Agli occhi degli altri utenti della strada eravamo una macchina da guerra ben oliata e collaudata. Cinque moto, cinque sorpassi brucianti, cinque piloti che affrontavano la curva successiva entrando in piega a un secondo di distanza l’uno dall’altro per sparire lungo la strada.

Ripensandoci, è stato un bell’esempio di lavoro di squadra. Viene in mente un vecchio slogan: uno per tutti, tutti per uno, ma senza retorica, perché in moto ne va della pelle.

Momenti come questi sono impagabili. Per il Nürburgring c’è sempre MasterCard.

sabato 19 settembre 2009

Teste coronate

Ma a voi vi frega niente dei reali inglesi?

A me meno di niente. Per non parlare dei reali del resto del mondo, da Juan Carlos di Spagna alla regina Beatrice d’Olanda ai 4 re delle carte da poker.

Eppure la nostra stampa ne parla spesso e volentieri, specialmente dei britannici: della vecchia babbiona Elisabetta II, del figlio pirla e dei nipotini mezzi hooligan che frequentano ragazzine della buona società alle quali i genitori danno consigli su come restare incinte di un Windsor. “Figlia mia, è la volta che ti sei sistemata. Altro che fare la velina!”

In Inghilterra ci sono dei giornalisti specializzati (detti royal correspondent o royal watcher) che lo fanno per mestiere. Ma si sa, gli inglesi hanno un rapporto curioso con i loro reali. Gli costano come una guerra persa, ma ci sono in qualche maniera affezionati, per decadenti e rimbambiti che siano.

Ma da noi? Che cosa ce ne può fregare a noi dei re degli altri? Già abbiamo una ex-famiglia reale di debosciati parassiti che cerca di attaccarsi alla tetta di Mamma Italia. Pensano giustamente i Savoia: se lo fanno Marchionne e Colaninno che sono dei plebei, perché noi no?

Corrispondenti reali full-time da noi non ce n’è. Quando il rotocalco per casalinghe disperate ha bisogno di un servizio sui reali di qualche paese, distoglie l’inviato che aspettava al varco le attricette biotte e lo manda a Londra, a Madrid o all’Aia a raccogliere notizie, o magari le compra da qualche agenzia di stampa specializzata in teste coronate. È un mestiere anche quello e non è meno dignitoso di suonare l’organino in metropolitana.

Da noi però quotidiani e reti TV hanno il “corrispondente vaticano”, una figura ben introdotta nei grigi corridoi del potere ecclesiastico e che rivela a un pubblico affamato di non-notizie qualche blando episodio o melensa battuta del sommo pontefice.

Quando Ratzinger si ruppe il polso qualche mese fa, il corrispondente vaticano di Sky TG 24, che ha pure la classica voce da prete (chi va con lo zoppo…) era veramente costernato, ma allo stesso tempo emozionato nel trasmettere la prima vera notizia dal Vaticano in quattro anni di pontificato del Paparatzi.



giovedì 17 settembre 2009

Il tetto è di tutti

Il Violinista sul Tetto è un'allegra commedia musicale del 1971.

Da noi, il progetto di riproporla in chiave più moderna si sta scontrando con una serie di polemiche del tutto inaspettate.

La FIOM-CGIL insiste perché la nuova commedia musicale si intitoli Il Metalmeccanico sul Tetto, per rafforzare il concetto che, quando la tua azienda è in crisi, la soluzione migliore sta nell’incatenarsi sul tetto.

Da parte loro, le altre sigle sindacali spingono per avere anche loro qualche metro quadrato di tetto a disposizione, possibilmente non sui cornicioni. Perché, nonostante il simbolismo del tetto sia molto forte, nessuno ha veramente intenzione di buttarsi di sotto.

Intervengono i sindacati del settore chimico, dei trasporti, dell’edilizia. La commedia musicale deve chiamarsi in maniera più generica: L’Operaio sul Tetto. Ma qui insorgono tutte le sigle che rappresentano i colletti bianchi: “basta con l’identificazione delle tute blu con i lavoratori! Siamo lavoratori anche noi e ci spetta un pezzo di tetto.”

Violenta è stata la reazione delle associazioni di categoria del mondo dello spettacolo, già da mesi in agitazione per i tagli ai finanziamenti erogati dal governo (da 500 milioni di Euro a circa 400 milioni). “Giù le mani dal nostro tetto!” hanno gridato.”Sono 38 anni che sul tetto c’è il violinista e da lì non si muove. Come si fa a fare spettacolo in Italia senza i contributi dello stato?”

Sicuramente, la soluzione del dilemma si vede meglio dall’alto del tetto.

I litiganti sono stranamente concordi su una sola cosa: la formula dello spettacolo originale era commedia e commedia resta.

domenica 13 settembre 2009

I Signori dell'Anello

Era già un po’ di tempo che si parlava di fare un salto al Nürburgring e finalmente qualche giorno fa ci siamo andati.

Il tempo ci è stato favorevole, abbiamo infatti trovato temperature estive e cielo limpido per l'intero percorso. Tanto bello è stato il tempo che, al ritorno, abbiamo deciso di rientrare a casa passando per la Provenza, ma questa è decisamente un’altra storia (la proiezione delle foto di tutto il viaggio la trovate a destra, sul "sidebar" del blog).

Il Nürburgring, stavamo dicendo: sono 20 chilometri leggendari soprannominati die grüne Hölle ovvero l’Inferno verde, immersi nelle colline boscose dell’Eifel, a Nord-Ovest di Coblenza.

Pista splendida, come sono in verità anche tutte le strade circostanti, ma con i vantaggi di avere un solo senso di marcia e la possibilità di spalancare il gas a piacimento.

Lo svantaggio però è che sul Ring gira di tutto, Ferrari nuove di zecca, vecchie BMW Serie 3, Dodge Viper, auto familiari taroccate, moto da sparo e questa volta giravamo anche noi.

Un occhio sempre sullo specchietto quindi e l’altro sulla pista. Peccato non potersi concentrare interamente su quella striscia di asfalto che gira, sale, scende come un otto volante lungo venti chilometri.

Ma lascio che sia il video a raccontare la storia. Ringrazio l’amico Nerio per avermi affidato le sue riprese "raw" per farne il montaggio.



sabato 12 settembre 2009

Questi siamo noi

Noi siamo fatti così.

Ci piace parlare delle moto, smontare pezzi, cambiarli, ripararli, provarne altri...e così all'infinito.

Non vediamo l’ora di metterci in strada e macinare qualche migliaio di curve.

Ci piace condividere le nostre idee con altri amici appassionati come noi.

Sì, qualche volta esageriamo nell’entusiasmo o nella voglia di convincere.

Magari riusciamo anche a sembrare arroganti e prepotenti.

E certe volte, pensate un po’, riusciamo anche a litigare con qualcuno.

Ma siamo sempre lì pronti ad aiutare se a un amico serve una mano.
E siamo sempre disposti a dire “dai, lascia perdere” se qualcuno si scusa per essersi comportato male.

Mentre invece, se qualcuno approfitta della nostra disponibilità, non diciamo niente. Lo aspettiamo al varco, perché la vita è una ruota e i calci in culo prima o poi vanno a bersaglio.

Non siamo più ragazzi, ma lo siamo stati. E se vogliamo, torniamo ad esserlo; ci servono solo alcuni ingredienti fondamentali:

  • Una moto, una strada piena di curve.

  • Una griglia, delle bistecche, un frigo pieno di birre.

  • Una barzelletta, due, tre, centomila.

  • L’argomento donne. Ovviamente quelle che non conosciamo.

  • Un progetto di viaggio, una carta geografica spalancata tenuta ferma con delle birre.

  • Un paesaggio mozzafiato o una tavolata piena di pizze o un cretino che cerca rogna.

Tutto questo un giorno finirà. Ma godersi ciascun giorno come se fosse l’ultimo è il segreto della felicità.

Noi siamo fatti così.

lunedì 7 settembre 2009

L'Italia minore


L’Italia minore è quella che neanche i turisti tedeschi hanno ancora scoperto.
È fatta di cittadine che non hanno monumenti famosi, montagne rinomate o spiagge da cartolina.
Può essere il luogo dove vivono lontani parenti che vedete una volta all’anno o il paese che attraversate per errore quando, usciti dall’autostrada, i cartelli segnalatori vi fanno sbagliare direzione.

C’è un’Italia minore fatta di vecchi borghi che fanno rimpiangere la vita di un tempo, segnata dalle stagioni, dalle campane, dalle feste del paese e dall’alternarsi dei piatti tipici. Un’Italia che profuma di mosto, di fumo di legna e di aiuole fiorite. Gente cordiale, orgogliosa della sua terra e sempre pronta a ricambiare una parola gentile.

Ma c’è anche un’Italia minore fatta di odiosi agglomerati che combinano il peggio della città con l’assenza di tutto ciò che è bello in campagna. Sono paesi antipatici, costellati di semafori eterni e senza senso, attraversati da strade disordinate e sporche e abitati da gente scostante. Sono i paesi che scimmiottano la metropoli, che si danno importanza, che non riparano le buche ma si celebrano con i cartelli.

Quanta Italia minore abbiamo attraversato nel nostro ruolo di motociclisti allergici alle autostrade?

Entri dalla statale, togli il gas e, mentre la moto borbotta sui 50, tiri su la visiera del casco e ti guardi intorno. E il paese ti racconta di sé.

Certe volte, cogli al volo l’ispirazione. Vedi un bel bar con i tavolini all’ombra, accosti la moto e ti regali una pausa. Fai due chiacchiere con il gestore o parli di motori con un vecchio che ti chiede: ”ma quanto fa quella moto lì?”

Altre volte, invece, il paese ti risulta subito odioso a pelle e non vedi l’ora di uscirne e spalancare il gas. Di certi posti, la migliore veduta è quella che diviene sempre più piccola negli specchietti.

sabato 5 settembre 2009

Una strana storia

Il maresciallo Orazio Cane del RIS dei Carabinieri è alle prese con un caso molto bizzarro: Gaetano M., anni 39 da Bitonto, agente immobiliare a Milano è stato vittima di un misterioso incidente. L’hanno trovato all’interno di un container da 40 piedi nel porto di Savona mentre lo stavano caricando su una nave diretta in Sud Africa.

Insospettito da un grosso foro nella parte posteriore del container, il gruista Giovanni P. di anni 46 da Vado Ligure, lo appoggiava sul molo e avvisava la sicurezza.

All’interno del container, che conteneva 18 tonnellate di riso Arborio, venivano rivenuti il corpo esanime di Gaetano P. e uno scooter Burgman 650 seriamente incidentato.

Mentre il malcapitato era ricoverato in rianimazione all’ospedale di Savona, il maresciallo Cane procedeva a un attento esame del container nel tentativo di ricostruire la vicenda.

A sua insaputa, poche ore prima, una pattuglia della Polizia Stradale in servizio sulla Tangenziale Ovest di Milano riceveva una strana segnalazione da una coppia di turisti francesi a bordo di una VW 1200 del 1969 amorevolmente restaurata. I due dichiaravano di aver sentito un violento urto sul paraurti posteriore dell’auto e di essersi fermati a controllare presso l’Area di Servizio di Assago.

Didier V., anni 62 da Avignone, riscontrava un’ammaccatura sul cofano posteriore e la traccia di un pneumatico che dal retro dell’auto proseguiva fino al tetto.

Ma nemmeno le indagini scientifiche del RIS avrebbero potuto trovare il bandolo della matassa.
Per collegare i due episodi e chiarire il mistero si è dovuto attendere la testimonianza dello stesso Gaetano P., una volta tornato in grado di parlare.

Il protagonista dell’incidente aveva appena incontrato un cliente in zona Settimo Milanese e con il suo Burgman 650 viaggiava sulla tangenziale in direzione Sud per un appuntamento con un altro cliente. “Stavo in forte ritardo – prosegue il racconto di Gateano P. – e andavo a 160, quando all’improvviso si è sganciata la copertina del Tucano e mi è volata in faccia. Istintivamente mi sono aggrappato alla manopola del gas per non cadere all’indietro. Poi non ricordo più niente.”

Secondo la ricostruzione del RIS, il Burgman avrebbe in quell’attimo tamponato a gran velocità la Volkswagen 1200, sarebbe salito sul tetto dell’auto e avrebbe proseguito la sua corsa infilandosi in un TIR che viaggiava davanti alla coppia francese. Sul pianale del camion era appunto assicurato il container di riso.

Per i gravi danni riportati nell’incidente, Gaetano P. ha fatto causa alla Tucano Urbano, al francese Didier V. e alla ditta di trasporti che aveva noleggiato il container. “Qui devono cacciare un sacco di soldi! – ha dichiarato – con gente così sulle nostre strade non si può più girare”.

giovedì 3 settembre 2009

Giungla d'asfalto


Che cosa deve capire lo straniero quando si trova davanti una selva di messaggi così?

L’Italia non è soltanto il paese delle “cartelle pazze” ma anche dei cartelli pazzi, una giungla di messaggi (alcuni inutili, alcuni naif e – incredibile! – alcuni utili) che si litigano l’attenzione dell’automobilista o motociclista, creando non pochi pericoli potenziali per la circolazione.

L’Italiano, vero cane di Pavlov della segnaletica, reagisce subito al cartello bianco che reca il nome della località, tutto il resto è un qualcosa di più o semplicemente un vezzo cretino.

Intendiamoci, la sopravvivenza dei dialetti è un fatto importante.
C’è da domandarsi però se l’unico intervento a salvaguardia delle tradizioni culturali sia un semplice cartello. In questo caso, l’amministrazione comunale farebbe bene a vergognarsi.

Anche l’appartenenza a un circuito tematico (la strada dei vini, la via del sale, la rotta del carciofo) ha delle valenze turistiche non indifferenti. Ma il cartello a inizio paese dev’essere solo la punta dell’iceberg. Da solo non basta, anzi fa ridere.

Comune d’Europa? Tutti i comuni d’Italia sono comuni d’Europa. Cartello superato e inutile. Un vezzo da ignoranti, come anche quei gemellaggi di pura immagine.

E che cosa dire dei reperti archeologici di un’Italia ecologico-perbenista-pacifista? Comune denuclearizzato e Città per la Pace.
Che cosa vogliono dire? E se mettessimo anche un cartello che dice: Comune contrario all’Influenza B? Avrebbe qualche effetto sulla profilassi antinfluenzale?

Esistono veramente dei comuni “nuclearizzati” o “per la Guerra”?
Non credo.

Credo però che se la multinazionale X decidesse di aprire una fabbrica di mine antiuomo a Babbodiminchia Inferiore, comprandosi l’intera giunta comunale e mettendo sul piatto 3000 posti di lavoro, il cartello sparirebbe in pochi minuti. O meglio ancora (soluzione italiana): il cartello resterebbe “perché le mine sono utilizzate per soli scopi difensivi”.

Non sarebbe meglio spendere i soldi dei cartelli nel rendere più sicuri gli attraversamenti zebrati, vero e proprio percorso di guerra per i pedoni? Ne muoiono sicuramente di più andando da casa alla panetteria che in qualche non meglio identificata azione bellica imperialista.

E se il comune vigilasse seriamente sulle discariche abusive o facesse rispettare le leggi sull’inquinamento, un piccolo contributo alla tutela dell’ambiente potrebbe darlo; sarebbe di certo più efficace di uno stupido cartello.

martedì 1 settembre 2009

Prosit!

Anche Sam beve ogni tanto una birretta per rilassarsi.
Il retrogusto amaro della
Pils le piace proprio, come quelle piante che ama masticare nel prato.

La birra ha una storia millenaria: dopotutto è la terza bevanda più diffusa al mondo (dopo acqua e tè) e la più antica di quelle alcooliche. Secondo alcune fonti, nasce agli inizi del Neolitico (attorno al 9000 a.C.) cioè ben tremila anni prima del vino, le cui origini sono fatte risalire al 6000 a.C.

La birra arriva in Europa attorno al 3000 a.C., un po’ in ritardo rispetto al vino, che era già noto 1500 anni prima.

Per secoli, la birra viene prodotta su base artigianale e casalinga, poi (attorno al 700 d.C.) si afferma come un’industria tipica dei monasteri, che la fabbricano e la vendono anche all’esterno.

Nel 1516 viene emessa in Baviera una legge (Reinheitsgebot) che determina la qualità degli ingredienti impiegati per la produzione della birra e alla quale, sebbene ne sia decaduto il valore strettamente giuridico, i produttori tedeschi fanno ancora riferimento.

Avendo frequentato per parecchi anni i paesi di lingua tedesca, sono molto parziale alle birre di quelle parti, che appartengono alla tradizione centro-europea di fermentazione a bassa temperatura; questa dà origine a birre più secche, chiare e leggere. Come ricetta produttiva, sono tutte imparentate alla birra prodotta a Pilsen, nel’attuale Repubblica Ceca già dal 1842, da cui il nome Pils o Pilsener.

A parte le birre sfiziose, come le leggere e acidule Weissbier o Weizenbier tedesche oppure quelle potenti ad alta fermentazione, come la belga Duvel (avete mai preso una sbornia di Duvel?), non c’è niente di più gratificante di una normalissima pils bevuta alla sua temperatura di 7-10° quando arriva il magico momento di stapparla.

Per chi va in moto, una birra da 33 cl a pranzo (magari depotenziata con una gazosa) è il massimo, mentre la stessa quantità di vino potrebbe portare conseguenze indesiderate una volta in sella.

Ma il colmo della libidine è macinare curve tutto il giorno, arrivare felicemente a destinazione e regalarsi una pausa di relax e socializzazione con un bel giro di birre.

Nella foto sopra, siamo a Torla nei Pirenei spagnoli e stiamo celebrando l’arrivo in paese provenienti da Andorra, dopo aver percorso lunghi tratti della splendida N-260.
Non so darvene una spiegazione scientifica, ma in situazioni come questa il sapore della birra risulta ancora migliore.
Prosit!