martedì 29 giugno 2010

Attività aereo-bica

No, non è un errore di stampa. Ho proprio voluto scrivere attività aereo-bica.
L’idea me l’ha fornita una di quelle conversazioni “captate” in un mezzo pubblico mentre qualcuno urla al cellulare. Captate si fa per dire, visto che almeno 50 persone sono investite acusticamente, che lo vogliano o meno, dagli sproloqui a 100 decibel di un cretino.

L’espressione che ho colto è “salto su un aereo”. La frase completa è: “Sai, domani salto su un aereo e vado a Londra" (ma ci stanno bene anche Helsinki o Cagliari). La chiave qui non è la destinazione, ma la disinvoltura con la quale un cerebroleso qualsiasi ama raccontare il suo viaggio in aereo.

La verità vera è che forse Humphrey Bogart quella notte a Casablanca avrebbe potuto saltare sull’aereo per Lisbona ma non lo fece. Indiana Jones, invece, mostrava una certa predisposizione a saltare dagli aerei o dagli Zeppelin.

Oggi non c'è più nessuno che salta sugli aerei, a meno che non si tratti di un aereo privato. Per cominciare, l’aereo va prenotato, altrimenti si rischia di finire a mangiarsi le unghie in lista d’attesa davanti al gate di imbarco, senza sapere fino all'ultimo se si riuscirà a salire a bordo o meno.

Poi bisogna arrivare in aeroporto almeno un’ora prima del volo, fare il check-in, passare il controllo di sicurezza dopo una fila interminabile che si percorre 20 cm alla volta. Saltare un cavolo! Poi si aspetta ancora fino all’annuncio d’imbarco e ci si rimette in fila per salire sul pullman o incanalarsi nel “loading bridge” che, un passo alla volta, ci porterà a bordo.

Dove vedono l’opportunità di saltare in aereo questi cretini narcisisti che si descrivono agli altri in toni epici?

Prendere l’aereo oggi equivale a salire (senza saltare) su un qualsiasi mezzo di trasporto di massa, la magia e il fascino di una volta sono finiti. 50 anni fa in aereo viaggiavano i capi di stato, le stelle dello spettacolo e la gente più abbiente. Posso capire che allora ci si tenesse a far sapere in giro di aver preso l’aereo. Ma oggi?

Sono saltato sul jumbo-tram o ho preso al volo il metrò sono azioni altrettanto eroiche da raccontare. 

giovedì 17 giugno 2010

La solita sbobba

L'altro giorno ho preso un treno svizzero per un percorso in territorio italiano. Tra le varie amenità, c'era un monitor che proiettava filmati promozionali di vario tipo. Uno di questi mi ha colpito in maniera particolare: un documentario turistico sulle bellezze dell'Italia che dedicava un bel po' di spazio ai soliti ingredienti della stanca minestra del "prodotto Italia".

E quindi, oltre a vedute e inquadrature suggestive di cui il nostro Paese non è certo avaro, ecco i soliti "prezzemoli" d'obbligo che ci sentiamo di dover propinare continuamente al potenziale visitatore straniero:
  • I Bronzi di Riace
  • La signora che affetta le tagliatelle fatte in casa
  • L'assaggio dei vini
  • La tarantella
Parliamone un po'.

I Bronzi sono un capolavoro e non si discute. Quanti stranieri visitino il Bel Paese per vederli (sono attualmente custoditi a Reggio Calabria nella sede del consiglio regionale) è un dato che non ho. Cifre recenti indicano, nel mese di Marzo 2010, un totale di 5400 visitatori, quindi circa 300 al giorno tra locali e ospiti esteri. Un paragone con il David di Michelangelo (oltre un milione di visitatori l'anno) sarebbe ingeneroso. C'è da dire che a Firenze, oltre al David, c'è tanto altro da vedere, mentre andare a Reggio apposta per vedere i Bronzi non mi è mai passato per la testa. Ma i due guerrieri di Riace sono una tassa dovuta. Se non li metti in ogni documentario, la Calabria chiede l'indipendenza.

Le tagliatelle (e il mangiare italiano in generale) sono ormai celeberrimi nel mondo. Pensate, le tagliatelle si possono anche preparare al di fuori dei confini nazionali! Ed è anche possibile mangiare cinese o indiano a Barcellona. Che ne direste se trovassimo nuove icone un po' meno scontate? Magari una bella immagine di una tavolata di amici che mangiano e bevono in allegria sotto un cielo blu. Sarebbe ora di allontanarsi dal semplice prodotto e passare all'atmosfera, dall'etichetta Made in Italy al piacere di visitare l'Italia in compagnia. E se poi gli ospiti preferiscono la pasta scotta con sopra i wurstel saranno anche fatti loro, no?

L'assaggio dei vini non equivale al gusto di un buon vino. L'assaggiatore spesso il vino finisce per sputarlo. Anche qui (come per le solite scene di quelle mani sapienti che confezionano i tortellini), non sarebbe bello vedere invece dei commensali che si godono i piaceri della tavola sullo sfondo di una delle mille piazze d'Italia piuttosto che fare del vino un discorso da intenditori e sommelier? Questo pudore nel non mostrare il piacere di un buon bicchiere ma di limitarsi all'atto sterile dell'assaggio mi ricorda quella pessima pubblicità della Regione Sicilia di parecchi anni fa: il turismo è cultura. Un approccio dotto e didascalico al turismo, un volersi travestire da "operazione culturale", quando la maggior parte delle motivazioni che spingono a visitare l'isola sono ben altre. In seguito, lo slogan fu riciclato in "turismo e cultura", che suonava già molto meno pretenzioso.

E chiudiamo in bellezza con la tarantella. Si può ancora dire sul Web "ma chi se ne strafotte della tarantella?" Spero proprio di sì. Qualcuno di voi ha mai visitato un altro Paese del G8 per vedere il balletto folcloristico locale? Anni fa il contribuente italico spese centinaia di migliaia di Euro per mandare una troupe di tarantella a promuovere il nostro Paese in Estremo Oriente. Per fortuna nessuno si è mai preoccupato di misurare il ritorno di questo investimento. Ma anche questa è una tassa da pagare: se non fai vedere la tarantella, si parla subito di secessione. Anche Inghilterra, Germania e altri Paesi europei hanno una tradizione di balli folcloristici (Maypole dancing e non solo) e mi domando quanti Italiani ogni anno accorrano gioiosi per assistervi.

Quanto ci sarà costato realizzare e proiettare il video promozionale italiano sui treni svizzeri? Si poteva fare di meglio e di più evitando di perpetuare un'immagine stantia e pedante dell'Italia, un'immagine che tende a mostrare le carte in regola, i bollini blu invece di trasmettere emozioni e sensazioni.

Qualche giorno fa ero in giro per la Sardegna con tre amici tedeschi. Non vi immaginate però dei nibelunghi ignoranti e incapaci di godersi le bellezze di un luogo. Uno è un imprenditore, il secondo è un dirigente d'azienda e il terzo è un funzionario dello stato. Insomma, tutta gente che è andata a scuola e ha girato il mondo. Hanno fatto oltre 2000 km di strada in Sardegna, mangiato e bevuto in allegria, scattato centinaia di fotografie e speso di sicuro più della media dei visitatori stranieri. Si sono divertiti e ci vogliono tornare, magari faranno anche un paio di foto a qualche nuraghe.

Se però li avessi portati a vedere su ballu de su muccadori mi avrebbero probabilmente linciato. E quindi perché non dare all'ospite straniero quello che vuole invece di propinargli noi un menu che non gli interessa affatto ma soddisfa solo lo squallido perbenismo culturale dei committenti?

martedì 15 giugno 2010

Severamente ridicolo

Il rapporto tra il cittadino e l'autorità dipende molto dal tono di voce con cui quest'ultima parla e la sfiducia dell'individuo nei confronti del sistema è proporzionale alla "distanza" percepita.

Paesi come il nostro tendono a stabilire una notevole distanza tra il cittadino e l'autorità. Uno dei metodi preferiti è quello di parlare in maniera complicata, di intimorire con la complessità del messaggio anche quando si potrebbero utilizzare termini semplici.
Un esempio banale?

Guardate come viene definito un rallentatore su una strada dell'hinterland milanese. Variazione altimetrica.
Possibile che non ci fosse un modo più semplice di descriverlo? Oppure lasciare che l'icona parlasse da sola? Dimenticando per un attimo la folta popolazione extracomunitaria, la cui conoscenza dell'italiano è tutta da verificare, anche il cittadino medio che è nato ed è andato a scuola in Italia deve pensarci un attimo per capire il significato di questo cartello. Perché usare un termine altisonante (e vagamente fuori luogo: chi gira con l'altimetro in macchina?) invece di una semplice descrizione, come per esempio gobba.

No, l'autorità teme di non essere presa sul serio se parla in termini semplici. È un concetto vecchio di secoli ma funziona sempre. Parlare difficile, alzare la voce per avere il rispetto dei sottoposti. Dopotutto siamo il paese del "severamente vietato", perché vietato non basta.

Guardate lo stesso rallentatore come viene segnalato in altri Paesi. Negli Stati Uniti si chiama BUMP, un termine imitativo che non lascia spazio a più interpretazioni. Perché chiamarlo in maniera differente e più complicata? Come la maggior parte dei segnali stradali americani, anche questo è a prova di stupido (basta che lo stupido sappia leggere).

Ma l'autorità in Italia dimostra di preferire il linguaggio complesso della burocrazia. E per autorità non intendo soltanto il funzionarietto che si occupa di segnaletica stradale, ma anche chi stila le procedure di sicurezza destinate agli ospiti degli alberghi, le istruzioni per le uscite di emergenza nei mezzi pubblici (aerei compresi) e tutte quelle comunicazioni farcite di termini pseudo-tecnici che sembrano più sottolineare la propria competenza che trasmettere contenuti essenziali in situazioni di pericolo. 

Vediamo quindi che anche il privato scimmiotta il linguaggio delle circolari ministeriali, dei decreti, dei regolamenti di applicazione per mutuarne autorità e importanza. Perché la sicurezza è una cosa seria! Un linguaggio semplice che anche un bambino capirebbe è considerato riduttivo.

Qualche giorno fa, nella cabina di un traghetto, mi piegavo dal ridere leggendo le istruzioni plurilingue per l'uso della doccia. "Controllare che la propria condizione fisica sia buona prima di entrare nella doccia". Che cosa devo fare, mi devo misurare la pressione e fare un elettrocardiogramma prima di aprire l'acqua? Non basterebbe dire: attenzione a non perdere l'equilibrio? Ce lo vedete uno che soffre di sbalzi di pressione a mettersi sotto la doccia in un mare forza 6?

Un tempo il popolo analfabeta si rivolgeva al cerusico e al notaro per farsi spiegare le complessità della medicina e della legge. Oggi, anche se il popolo sa viaggiare in Internet e comunicare in Wi-Fi, l'autorità parla ancora con la stessa voce accigliata e inefficace.

sabato 12 giugno 2010

Altro giro, altra corsa

Questa frase all'altoparlante era quella che segnalava la fine della corsa al Luna Park. Era quando i bambini alzavano gli occhi imploranti ai genitori perchè ne pagassero una in più. 

Avevo appena finito di pulire la moto dallo strato di polvere e insetti del viaggio in Spagna quando mi si è presentata l'occasione di fare un altro giro. Questa volta in Sardegna, complice la richiesta di alcuni amici tedeschi che volevano girare l'isola e sapevano che la conosco abbastanza bene.

La Sardegna in bassa stagione è l'isola del tesoro, con strade deserte, alberghi semivuoti e prezzi abbordabili. Le statali e provinciali che conducono all'interno hanno livelli di traffico minimi, mentre sulla costa si riesce ancora a viaggiare senza grossi problemi.

Il sole è caldo ma la brezza marina è fresca e Giugno regala delle giornate eccezionali, con qualche nuvola in cielo per dare maggior carattere alle fotografie. Insomma, questo mese è l'occasione di girare l'isola senza problemi e senza doversi litigare ogni metro quadrato di spazio con il resto del mondo.

All'imbarco dei traghetti, poca gente ancora. Ci sono quasi tante moto quante auto. Purtroppo anche parecchi camper, che spesso vi ritrovate contromano nelle curve perchè l'imbecille al volante non sa guidare.

Proprio questo è il problema, l'unico, da tenere presente quando si viaggia in Sardegna in bassa stagione. Si comincia a credere di essere i soli utenti della strada e invece l'idiota è sempre in agguato: l'auto che esce dal parcheggio in retromarcia, la conversione a U di chi non guarda nemmeno se c'è traffico in arrivo, lo scatolone di plastica con due pensionati in cabina di guida che si arrampica sfumazzando sui tornanti a 30kmh.

Salvo rare eccezioni, l'asfalto è un nastro di carta vetrata, ottimo per la tenuta e privo di irregolarità. Ogni tanto si incontrano gruppetti di motociclisti stranieri che si godono l'isola come te. Ancora pochi gli italiani e quei pochi rigorosamente in BMW.

Sei giorni e il giro è già finito. Prendo il traghetto per la Corsica, dove già l'affollamento è più evidente e lascio anche quest'isola il giorno stesso diretto a casa. Per quest'anno i miei motogiri riprenderanno a fine Settembre.

E ora qualche foto per chi ne avesse voglia...