venerdì 20 gennaio 2012

Tanta voglia di eroi

Una settimana dopo la tragedia della Costa Concordia, mezza Italia chiama “eroe” il Capitano De Falco della Capitaneria di Livorno. 

Ma De Falco è veramente un eroe? E’ proprio lui il primo a scrollarsi di dosso l’epiteto. De Falco è un professionista, un vero ufficiale di marina (non un pupazzo narcisista come il comandante della nave) e, se vogliamo, non è nemmeno riuscito a costringere il guappo vigliacco a ritornare a bordo. 

A tanta gente, il capitano De Falco giustamente piace perché è un uomo onesto, un personaggio integro e solido in una vicenda popolata da pigmei morali. Ma non parliamo di eroi. Chi fa il suo mestiere con convinzione, integrità e determinazione non è un eroe, ma certamente lo sembra al confronto con i cialtroni che portano le navi (o il Paese) alla rovina.

Intanto, a Meta di Sorrento, la cittadinanza si stringe intorno al comandante della nave e lo chiama “eroe” per aver salvato migliaia di persone. Com’è curiosa la gente. Nella sua visione a tunnel si dimentica che lo stesso “eroe” è quello che, per un gesto irresponsabile da sbruffone, ha messo a repentaglio la vita di 4000 persone, ne ha ammazzate almeno 11 e causato milioni di Euro di danni. E adesso, nella fantasia italebana, sta diventando un personaggio mitico, il Braveheart campano, il Sandokan sorrentino, l’uomo che la Padania vorrebbe morto. Se non facesse parte di una tragedia fin troppo reale, questo ribaltone grottesco farebbe anche ridere. Se non credete che questo sia sintomo della bancarotta morale che affligge questo Paese, trovatemene un altro migliore.

E intanto in Moldova (la Moldova sta tra Romania e Ucraina ­­– sono andato a vedere su Google), la misteriosa bionda venticinquenne vista al fianco del comandante sul ponte della nave viene intervistata dalla TV locale e salutata come eroina per aver salvato un numero imprecisato di persone. Ridda di ipotesi: era regolarmente imbarcata o l’ha fatta salire a bordo il capitano approfittando della sua autorità? Secondo una versione, poi, sarebbe stata chiamata sul ponte per fare annunci in russo, un’altra la vorrebbe a fianco del comandante già al momento dell’impatto con il fondale.

Cosa? Era già salita in plancia? Chissà che il comandante, preso da preveggenza, se lo fosse sentito? O fu lei a sentirselo? Il disastro imminente, voglio dire.

La verità definitiva, grazie alla registrazione delle conversazioni sul ponte di comando, alle telecamere e agli interrogatori dei testimoni prima o poi verrà fuori.

Intanto però, a Meta di Sorrento, il primo a essere sottoposto al terzo grado è proprio il comandante. E chi gli fa le domande è la moglie: Frangé, Frangé, ma chi era sta femmena bionda che aggio visto in tivvù?
E il comandante, ormai esperto di acrobazie evasive, si cala da una finestra e finisce in un cassonetto.

Lo insegue l’urlo Omimmeeerd’ , sfaccimm’, ma lui è già salito su un taxi.

mercoledì 18 gennaio 2012

Nani al comando

Due considerazioni doverose sugli eventi della scorsa settimana.
Abbiamo visto all’opera, con i tragici risultati che tutti sanno, il classico “capo all’italiana”, il prodotto di una cultura egocentrica e feudale, un nano narcisista con un’immagine del suo ruolo gonfiata e deviata. Un’immagine che lo fa sentire in diritto di utilizzare un oggetto di proprietà del suo datore di lavoro (costo circa 400 milioni di Euro) e di mettere a rischio 4000 vite umane (un valore questo incalcolabile) per un ridicolo atto di omaggio, un “inchino”, a qualcuno come lui. Ma fra “uomini di panza” si fa cosi.

Il personaggio, che tanto ricorda un nostro ex-premier votato alla spavalderia, alla tracotanza e allo stravolgimento della verità, ha combinato un casino infinito, ha ucciso delle persone, ha bruciato centinaia di miliardi di valore delle azioni del suo datore di lavoro, ha ridotto a relitto una nave nuova e ne ha prontamente preso le distanze (letteralmente) “cadendo” per pura combinazione in una scialuppa. Che culo.

Del danno che il suo operato (e quello del Papy prima di lui) hanno fatto al nostro Paese parleremo in un’altra occasione. Intanto, l’Italia (quasi) tutta si è rivoltata contro questa figura miserabile di piccolo bulletto di provincia (come sembra abbiano anche fatto molti dei suoi ufficiali).

Dalla sua parte si è schierato il paesello natio (al quale negli anni il nano si è inchinato facendo favori, come nella migliore tradizione) e infatti sul Web è apparso lo striscione "Comandante non mollare" che i concittadini gli hanno piazzato davanti la casa. No, il comandante non è uno che molla, si è visto. Vedrete che tra qualche giorno diventerà quasi una questione "razziale", come quando O.J. Simpson ammazzò la moglie e la fece (temporaneamente) franca. E altrettanto prevedibilmente, tifa per lui la moglie. La signora Fabiola ha diffuso un comunicato in cui scrive: "Sentiamo il dovere di respingere con forza qualsiasi tentativo di delegittimazione della sua figura, invitando a comprendere la sua tragedia ed il suo dramma umano. Molti dei particolari pubblicati, relativi al comportamento del comandante Schettino, sono da verificare".

Mi viene spontaneo pensare che questa lucida prosa non sia tutta farina del sacco della Sig.ra Fabiola di Meta di Sorrento, o sarebbe in qualche modo legittimata la teoria di un tentato suicidio del marito comandante, pronto a colare a picco pur di non tornare a casa da una che parla così.

Intanto, il giudice per le indagini preliminari ha concesso al nano gli arresti domiciliari. Ma dai giudici, almeno quelli che non avevano parenti e amici a bordo della nave, ci possiamo aspettare di tutto.

Il comune di Meta avrebbe intanto offerto al valoroso skipper un posto da bagnino una volta scontata la pena detentiva (se mai ci sarà). Il ricciolo da guaglione brizzolato porterà di sicuro migliaia di signore attempate e irrequiete sulle spiagge della riviera sorrentina.

Ci scrive nel frattempo un comandante dell’Alitaglia, Guido Stopardico-Joni, e ci chiede se, in omaggio ai suoi parenti che vivono a Castelluccio di Norcia, può fare un inchino anche lui, un passaggio radente con il suo B747 (400 passeggeri ignari a bordo) sulla Piana di Castelluccio, con brusca riattaccata prima delle case del paesino.
C’è da dire a suo credito che, nel caso dovesse sbagliare la manovra, non ci sarebbe una scialuppa nella quale rifugiarsi.



sabato 14 gennaio 2012

La recita dei burattini


A Milano, un vigile urbano è stato travolto e ucciso da un’auto 4X4 che cercava di fermare. I due omicidi sono fuggiti ma sembra siano stati identificati, sono due nomadi, e forse li hanno anche anche fermati alla frontiera con la Francia.

Subito il Paese dei burattini entra in agitazione. Il popolo degli anti-SUV ricomincia a ululare l’unica stanca canzone che sa. (E’ noto che i fuoristrada siano auto dotate di volontà propria. Se un mentecatto torinese di alto lignaggio ingombra i binari del tram con la sua Jeep o due zingari uccidono un vigile con la X5, la colpa è del veicolo.)

“Via i fuoristrada dal centro” è il coretto di chi non ha il fuoristrada e quindi lo vuole vietare anche agli altri. Gli zingari notoriamente rispettano le leggi dello stato e quindi si terranno lontani dal centro. In questo caso poi l’omicidio è avvenuto alla Bovisa, un quartiere di Milano che con il centro ha ben poco a che vedere.

E intanto arriva il cordoglio del presidente della repubblica, si indice il lutto cittadino, le prefiche di stato si battono il petto, le associazioni dei nomadi prendono le distanze. Intendiamoci, non ho intenzione di sminuire in alcun modo la gravità del fatto e la portata della tragedia: vedo ancora quella foto angosciante della bicicletta contorta appoggiata sull’asfalto e mi si stringe il cuore al pensiero del vigile ucciso.

Ma quanti pedoni e ciclisti vengono uccisi ogni anno da pirati della strada? Quanti messaggi di cordoglio manda loro il capo dello stato? Pedoni e ciclisti contano meno del vigile urbano?

Ma il vigile urbano faceva il suo dovere, mi ribatteranno i custodi della legalità.

E i pedoni e i ciclisti trascinati e uccisi non stavano facendo il loro mestiere di cittadini che vanno a lavorare, pagano le tasse e si aspettano di essere tutelati dalla polizia urbana, il cui stipendio loro stessi contribuiscono a finanziare?

Basta con il populismo imbecille delle autorità costituite, basta con la tutela dei cittadini affidata alle telecamere e ai velox. Basta anche agli zingari che spadroneggiano nelle città rubando e uccidendo impunemente.  Invece di pronunciare parole vuote e abbassare le bandiere a mezz’asta, stronchiamo sul serio questa criminalità continua e crescente. 

Finora la polizia si è stretta nelle spalle ed è tornata a timbrare bolli e a passare carte.
L’auto in regola, la revisione, l'assicurazione, le catene, le cinture, il gilet fosforescente la polizia li chiede a noi.
La macchina degli zingari (rubata, senza revisione, a fari spenti, senza assicurazione) passa indisturbata. “Eh, a quelli che cosa gli vuoi togliere?” mi disse un giorno una guardia scuotendo la testa.

Finché gli zingari avranno il campo libero e il salvacondotto per uscire dal carcere dopo un paio di giorni, sempre meno vigili avranno il coraggio di fermarli e il cittadino avrà sempre meno tutela.

Ma è più facile pronunciare frasi vuote di cordoglio e fare gli indignati davanti alla TV che prendere seriamente dei provvedimenti. 
Non cambia niente, domani è un altro giorno e il rigore dei controlli durerà un paio di settimane. Finché l’appartamento svaligiato, l’auto rubata e il morto non ci riguardano, tiriamo avanti. Questo è il sistema che ci siamo costruiti.